La fucina del Teatro Immediato ci ha abituato ad un tasso di produttività costante e preciso, oltre che vertiginoso, proponendo al suo pubblico praticamente ogni anno uno spettacolo nuovo.
Puntualissima anche questa volta, ecco l’ultima produzione della compagnia pescarese, per giunta in anticipo sull’abbrivio della stagione ufficiale. Parliamo de La Stanza del Pastore – Il Transumante, testo di Vincenzo Mambella portato in scena da Edoardo Oliva, regista ed interprete, assieme ad un intero ensemble di musicisti: Giuliano Di Giuseppe (tastiere), Francesco Pisanelli (violino), Pierluigi Ruggiero (violoncello), Claudio Di Bucchianico (oboe), Luca Trabucchi (chitarra).
Da questa primissima “inquadratura” si dipana già un flusso di argomenti fondativi dello spettacolo.
Innanzi tutto, la formazione composita presente sul palcoscenico è indice di una collaborazione tra più attori: il progetto – promosso da Fondazione Aria – ha inteso valorizzare il fenomeno ancestrale della transumanza, tanto specifico del territorio quanto globale, come testimonia la recente candidatura all’Unesco quale patrimonio culturale dell’umanità.
La realizzazione artistica del progetto è passata attraverso una lavorazione a più livelli, fondendo i linguaggi del teatro e della musica in una soluzione quanto più integrale, diremo compenetrata reciprocamente. In effetti, lo spettatore che assiste a La Stanza del Pastore nota immediatamente come la musica non figuri al consueto rango di colonna sonora, o di base musicale dell’azione espressa dall’attore. La ricerca condotta dal Maestro Giuliano Di Giuseppe – compositore delle musiche originali – ha mirato alla strutturazione di un andamento sonoro che si intreccia con il testo e l’azione scenica in chiave ora contrappuntisica ora armonica.
Tutto questo conduce ad una conseguenza significativa: l’ensemble dei musicisti non è relegato in un’area residuale della scena o marginale ad essa. Il palco è parimenti abitato in senso prossemico dai musicisti quanto dall’attore, quasi che questi siano i fantasmi del secondo, i suoi prolungamenti in una dimensione transitoria tra il luogo fisico e la dimensione metafisica. Così la musica, che trova sì spazio tra le diverse sequenza recitative, non meno che sovrapponendosi ad esse, impegnando attore e musicisti nella ricerca costante dei giusti equilibri.
Ma eccoci finalmente al protagonista effettivo: Francesco Giuliani, straordinaria figura della storia abruzzese, riscoperta e vivificata dalla penna di Vincenzo Mambella. Una storia “minore” naturalmente, scritta con la “s” minuscola e popolata da figure ordinarie invece che dai nomi altisonanti delle sfere politiche e militari più altolocate. Per contro, un pastore del profondo entroterra abruzzese, confinato – ancor più che dall’asperità degli spazi fisici- dall’angustia di una stagionalità inscritta all’interno del medesimo ritmo naturale delle stagioni: la transumanza appunto, un percorso ciclico di monticazione e demonticazione che conduceva i pastori a trascorrere tra tratturi e stazzi fino ad otto mesi l’anno. Un’esistenza sacrificata dunque nella sua parte più sostanziale ai legami ed agli affetti.
È qui che Mambella reperisce il vettore drammaturgico portante, tanto energico quanto diafano: la straordinarietà di Francesco Giuliani – il “pastore-poeta” che con stoica determinazione apprende da solo a leggere e scrivere, che cita Dante e Ariosto, che scrive pensieri e versi pregevoli – ebbene, la straordinarietà più preziosa di una figura così straordinaria in sé sta nel primato dell’immaginazione. È questo che fa di Giuliani un personaggio atemporale – dunque anche attualissimo – e cosmopolita, benché così prossimo, così “nostro”, finanche nostrano.
I libri che Giuliani tanto amava non rappresentano un raggiungimento in sé, ma lo strumento visionario tramite cui un individuo sovrascrive la realtà: ne supera i limiti, spesso le brutture, utilizzando il proprio sguardo non per ricevere, non per subire, bensì per irraggiare paesaggi, presenze, universi.
Un meccanismo di astrazione che oltrepassa i confini della cultura occidentale: è questa la portata del passaggio proposto da Vincenzo Mambella, solcato in scena da Edoardo Oliva come il sentiero invisibile di un rabdomante.
Altro – dunque – che il semplicistico encomio di un bracciante che si è alfabetizzato, civilizzato, addomesticato (plauso che poggia, anzi, sul tacito giudizio spregiativo verso i lavoratori primari quale genìa antropologicamente inferiore, e dunque normalmente incapace di riflettere, istruirsi, migliorarsi).
Si capisce come in questo salto dimensionale la musica si inserisca perfettamente nella sua qualità di linguaggio sensoriale per eccellenza, strumento precipuo del superamento.
Al contempo la recitazione si lascia trapassare, fisicamente ed oltre. Edoardo Oliva agisce in uno spazio coartato, presidiato da presenze altre: i musici con i loro strumenti ed il loro carico denso di suoni e silenzi. Il suo Francesco Giuliani si ritaglia spazi minimi e gesti raccolti, abituato com’è a trasfigurare il reale, con i libri certo, ma principalmente con ciò che questi contengono ancor prima delle parole: una percezione alternativa del tempo.
Ecco perché nelle parole di Giuliani riaffiora il passato. Per convenzione teatrale? Per sentimentalismo calcolato? No. Il personaggio di Vincenzo Mambella è un costruttore di presente. Cesella presenze in cui la vita già vissuta rivive e convive con quella che avrebbe potuto essere.
Edoardo Oliva contiene i toni della sua recitazione, a materializzare un velo fatica e di attesa che rende palpabile il lungo tempo trascorso in una realtà molteplice, sospesa tra l’immateriale e la certezza tattile: i ricordi, le pagine dei libri sapienziali, le parole semplici non dette allora e salvate adesso dal mai più, e poi la fierezza del legno, i suoi nodi, le sue sezioni più docili, gli strumenti parchi legati al lavoro (buona parte della ricerca iconografica è confluita nel documentario “La Dolce Vita – Una Storia di Transumanza” di Francesco Calandra, Maria Grazia Liguori e Vittoria Spezzaferro).
La scenografia firmata da Francesco Vitelli vive del potere iconico e primario di oggetti ed attrezzi tratti dal mondo della pastorizia, precedentemente all’avvento della tecnologia. Al contempo, si replica anche nell’allestimento quella duplicità di astrazione e resistenza realistica: gli strumenti – di cui si è detto – i costumi, una scena che preveda un dentro ed un fuori, un’entrata ed una uscita, fino ad una chiusura fisica che proietta il senso di un sipario esistenziale.
Il pubblico che ha conosciuto ed amato i lavori precedenti di Teatro Immediato ritroverà alcuni tratti divenuti tipici: la dialogicità sostanziale del discorso, anche quando è in forma di monologo, e la passione per quella che potremo definire “filosofia minima”, ovvero la risposta a grandi interrogativi e quesiti universali ricercata tramite il procedimento spartano dei ragionatori umili, non già pensatori di mestiere ma appassionati puri ed indomiti davanti allo spettacolo misterioso dell’esistente.
L’esperienza della trincea fatta da Francesco Giuliani durante la Grande Guerra permette alla drammaturgia un ulteriore superamento della stanza, dove – una volta di più e definitivamente – le armi del pensiero e dell’immaginazione si affermano come antidoto salvifico estremo.
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CREDITS
“La Stanza del Pastore (il transumante)”
di Vincenzo Mambella
produzione Teatro Immediato
un progetto di Angelo De Nicola, Alessandro Di Loreto, Pierluigi Ruggiero
promosso da Fondazione Aria
regia di Edoardo Oliva
musiche originali di Giuliano Di Giuseppe
con Edoardo Oliva (attore)
Claudio Di Bucchianico (oboe)
Francesco Pisanelli (violino)
Perluigi Ruggiero (violoncello)
Luca Trabucchi (chitarra)
Giuliano Di Giusepe (tastiere)
scenografia Francesco Vitelli
costumi Marina Taglieri
luci e fonica Black Service