Intrighi amorosi con travestimenti e agnizioni in un mondo evanescente e surreale
La scena mostra un palcoscenico montato al contrario con il sipario sul fondale, che si apre su un’immaginaria platea verso la quale i cantanti si inchinano battendo le mani. Noi vediamo il backstage e tutto ciò che succede dietro le quinte: maestranze, tecnici e pompieri che riordinano macchine sceniche, attrezzature, scale e bauli, artisti che si complimentano, coprendo coi loro movimenti il suono orchestrale e disturbando l’ascolto dell’Ouverture, che ci regala un lungo monologo del corno, lo strumento amato da Rossini e…da me (J). I movimenti inutili di questi figuranti e i passi rumorosi sono elementi di disturbo nel corso dell’opera.
Il regista Davide Livermore opta per una lettura moderna, dove non compaiono né regge né accampamenti e per le scene attuali e i costumi d’epoca si è avvalso della collaborazione degli allievi dell’Accademia delle Belle Arti di Urbino coordinati da Francesco Calcagnini e del progetto luci di Nicolas Bovey, come già fatto nel 2010.
La regia è stata ripresa da Alessandra Premoli.
I quattro personaggi non hanno un particolare spessore psicologico e teatrale e il regista li presenta come evanescenti fantasmini, che di notte vagano su un vecchio palcoscenico deserto, sbucano da bauli chiusi, da specchi trasparenti, si moltiplicano all’improvviso (ogni cantante ha il suo doppio) e tengono in mano fatue fiammelle che si accendono magicamente. (Si dice che Livermoore abbia preso suggerimenti dal grande illusionista e trasformista Arturo Brachetti). Candele sospese e candelabri accesi fluttuano per l’aria e vagano in tutte le direzioni.
Interi guardaroba di costumi teatrali scendono e salgono celando e scoprendo il coro, tra gli abiti sbucano ed escono gli artisti, scendono specchi, contrappesi e anche un pianoforte con la protagonista distesa sopra.
Le idee sono accattivanti, ma le scene sono troppo scure e qualcosa si perde.
Musicalmente l’opera è gradevole e desta meraviglia la fantasmagoria di note scritte da un diciottenne. La Sinfonia d’inizio, comunque, non è attribuita a Rossini, ma al tenore Domenico Mombelli, cantante e compositore a cui il giovanissimo Rossini consegnava brani sparsi per la stesura dell’opera in questione e primo interprete di Demetrio. Di Mombelli sarebbero anche altre parti dell’opera, ossia l’aria di Siveno del II atto “Perdon ti chiedo, o padre” e la successiva aria di Eumene “Lungi dal figlio amato”, mentre alcune delle parti scritte da Rossini vengono da lui reimpiegate in opere successive, quali Il Signor Bruschino.
I quattro cantanti di questa edizione pesarese 2019 sono molto bravi e con belle doti vocali. Quindi, se la regina è Jessica Pratt, gli altri sono emeriti principi.
Cecilia Molinari (en travesti nel ruolo di Demetrio-Siveno in abito bianco) è un mezzosoprano chiaro ma corposo, con voce calda e duttile, suoni rotondi e ben calibrati in ogni registro, emissione naturale e fluida, brava nel canto di coloratura con esecuzione perfetta di sbalzi, ornamenti, slanci acuti tenuti.
Juan Francisco Gatel (Demetrio-Eumene in abito nero e parrucca bianca) è un tenore contraltino dal colore chiaro, esteso, svettante, dotato di un certo peso e sicuro anche nel canto di sbalzo e nei sovracuti (aria del I atto “All’alta impresa tutti”).
Una rivelazione è il giovane basso/baritono milanese Riccardo Fassi (Polibio vestito di rosso), dotato di un bellissimo mezzo vocale, timbrato, sonoro, rotondo, robusto e ricco di armonici anche nella voce parlata. Poderoso e portentoso per ampiezza e peso vocale nel duetto Polibio/Eumene “Non cimentar lo sdegno”, con gravi ben appoggiati, nell’aria del II atto “Come sperar riposo” mette in luce la bellezza del timbro, affondi sicuri, morbidezza del canto, che si fa ancor più accattivante nei passaggi dalla zona media alla tessitura acuta ed evidenzia dimestichezza col canto di sbalzo nel seguente “Nel rammentar quel perfido”. Mi ha riportato in mente Samuel Ramey. Consiglierei a Fassi un corso di perfezionamento con Ramey nella sua Wichita State University nel Kansas…e chissà che non si ripetano i fasti del grande artista americano.
Poi c’è lei, la regina del belcanto, la divina Jessica Pratt nel ruolo di Lisinga, la parte vocalmente più difficile dell’opera.
Leggerezza d’emissione, attacchi delicati a mezza voce, filati con uso della messa di voce, suono pulito e cristallino, picchettati in sovracuti, delizia dei sovracutissimi anche fioriti, strabilianti fiorettature, la Pratt è melodiosa nelle delicatezze del duetto Lisinga/Siveno “Questo cor” sul ritmo pizzicato degli archi del I atto e fa fuoco e fiamme nell’aria di furore “Vendetta vi chiedo” tra acrobazie virtuosistiche acutissime del II.
Ovazioni del pubblico impazzito.
Il Coro Mezio Agostini di Fano, qui nella sezione maschile, preparato e diretto con precisione dall’esperta maestra Mirca Rosciani, restituisce affascinanti sonorità e mostra abilità sia nel canto morbido a mezza voce che nel canto a voce piena.
Paolo Arrivabeni dirige la Filarmonica Gioachino Rossini con gesto consapevole e nel rispetto delle voci, entra con maestria nel frizzo del gioco rossiniano e nei toni struggenti del duetto padre-figlia nel II atto.
Revisione a cura di Daniele Carnini.
Un bellissimo spettacolo.