Corpografie 2019 ha chiuso la sua sesta edizione, lo scorso 15 settembre, con una serata dedicata ai nuovi talenti della danza contemporanea, Campus Gran Galà giovani coreografi, una ventata ricca di idee e proposte che ha salutato lo spettatore con delle piccole finestre aperte sul mondo.
Quattro gli spettacoli in programma, che, seppur ancora in forma di studio, si sono da subito ben delineati con un struttura ed un disegno drammaturgico ben chiari. Il Collettivo Cadavre Exquis ha presentato “Bared“, un trio tutto al maschile affiatato e amalgamato, con una danza materica e magmatica, tellurica ed evocativa sui fenomeni naturali. Un’atmosfera ipnotica ed inquietante ha avvolto invece “Hidden Track” (traccia nascosta) di Valeria Russo, un interessante e profondo studio sulla devastante manipolazione delle informazioni e la sua conseguente anestesia del corpo e delle sua percezione. Simone Petracca (dream on) ci ha mostrato l’altro volto di “Antigone“, quella pacifista che sventola la sua bandiera bianca in segno di resa, come risposta di resistenza alla lotta. Chiude questo glorioso quartetto di spettacoli Teresa Morisano con “Stanislavskij ep.1“, uno studio intercambiabile tra la danza e la parola dove la tenerezza ed il candore del corpo in movimento penetrano la sensibilità dello spettatore in modo unico per raccontare il non detto tra sentimenti, storie ed emozioni.
Simonetta D’Intino e Maristella Mezzapesa, speciali spettatrici del laboratorio Dansomanie, ci riportano di seguito le loro più autentiche impressioni.
“Bared”, dall’inglese denudato, è il risultato di una messa a nudo vera e propria. La danza, fluida e ben mescolata, viene privata di qualsiasi ornamento poco funzionale e sterile. La scena è vuota, riempita solo da tre corpi coinvolti in un continuo interscambio di ruoli, di traiettorie, di spazi, in accordo tra loro da fondersi in uno.
Ciò che prima viene in mente guardando questi corpi alternarsi e sovrapporsi, è la teoria scientifica della tettonica a placche:
– la Terra, nel suo involucro rigido più esterno, non possiede una struttura continua ma si presenta fratturata in tante porzioni, queste placche si spostano portando con sé oceani e continenti diventando responsabili dell’attività sismica e vulcanica della Terra.
Verosimilmente i corpi dei tre danzatori ripropongono questo stesso principio, spostandosi, scontrandosi, allontanandosi, scorrendo l’uno sull’altro, dando così vita a moti, correnti e flussi energetici che si estendono nello spazio senza interruzioni.
“Non sono nata per condividere l’odio, ma l’amore”. Questa l’Antigone che ci propone il danzatore Angelo Petracca nella sua performance. La sua è l’immagine di un corpo, vessato, tormentato, ormai isterico in una danza che si allenta, a tratti si arrende, invece di ostinarsi a continuare in qualcosa che potrebbe risultare deleterio. Il corpo oscilla, fragile, insieme ad una bandiera bianca, simbolo di resa. È un corpo che ha combattuto, ha patito come evidenzia una ripetizione di gesti nevrotici, sempre più rapidi, ma è un corpo che crolla, alla fine di tutto, indebolito, sfinito, vinto. Antigone è da sempre considerata il simbolo della lotta contro il potere, della ribellione, una ragazza romantica e solitaria, una combattente contro il dominio ingiusto di un tiranno senza limiti, che i fatti di cronaca degli ultimi giorni hanno riportato alla ribalta. La sua figura ci parla ancora, comunica e ammonisce il nostro presente con lo stesso coraggio di sempre, a dimostrazione del fatto che i miti greci non siano morti, ma dimorano nelle nostre coscienze indicandone la strada. Così Angelo Petracca, avvolto dal bianco, in un corpo ormai fragile, sottolinea invece l’importanza della resa tanto quanto quella di comprendere e affrontare i contrasti a salvaguardia dell’”io” e del “noi”, per aprire le porte ad un sentimento d’amore in un clima dominato dall’odio.
“Hidden Track” di Valeria Russo è la testimonianza di un corpo che mette in scena il fenomeno della manipolazione dell’informazione.
Il palcoscenico è nudo ma riempito da fili/connessioni collegati al capo di uno strano essere trasformato dai mass media e in ri-trasformazione, verso una nuova consapevolezza. È, quindi, anche il racconto di un percorso verso il ri-sentire comunicato con il movimento in un attraversamento fisico e mentale, tattile e spaziale.
In un’atmosfera “Mediatica” complessa e articolata, quale è la matassa di connessioni presente in scena, che rimanda al concetto di mass-media letteralmente detto, l’essere in-movimento struttura la propria realtà, finanche il proprio sistema di credenze, tramite gli stessi, si riconvertono in altro come filtro tra il sé e il mondo. Assistiamo, dunque, alla scoperta di nuovi dialoghi e nuovi sentieri che conducono all’interiorità, allo sbrigliamento di un corpo dalla concezione di un mondo profondamente anti-democratico, al passaggio da una sfera che restringe al massimo l’azione del pensiero, che diminuisce il numero delle parole e ne contrae la coscienza ad un’altra in cui prevale il risveglio di un corpo e al risveglio della coscienza attraverso il corpo.
“Stanislavskij ep.1”, si rifà ad un’idea coreografica che si ispira al metodo Stanislavskij. Una storia, due vite, materiale di riflessione, complessità inerente l’animo e l’arte del danzatore che diventa anche attore e si riscopre prima di tutto uomo, storia, emozione. L’indagine di questa complessità è un viaggio attento e accurato, è uno spazio in cui sono sollecitati ad interagire l’autore e l’attore dove i contorni si sfumano diventando labili fino a confondersi, riversandosi uno nell’altro.
“Stanislavskij ep.1” non è mera arte della rappresentazione ma arte della reviviscenza, è verità delle passioni, immedesimazione, approfondimento psicologico. È il testo e il sottotesto, realtà ed illusione, la mente ed il corpo, il passato con la sua aura sfilacciata e il presente con la sua concretezza.