«Se siamo fortunati, non importa se scrittori o lettori, finiremo l’ultimo paio di righe di un racconto e ce ne resteremo seduti un momento o due in silenzio. Idealmente, ci metteremo a riflettere su quello che abbiamo appena scritto o letto; magari il nostro cuore e la nostra mente avranno fatto un piccolo passo in avanti rispetto a dove erano prima. La temperatura del corpo sarà salita, o scesa, di un grado. Poi, dopo aver ripreso a respirare regolarmente, ci ricomporremo, non importa se scrittori o lettori, ci alzeremo e, “creature di sangue caldo e nervi”, come dice un personaggio di Cechov, passeremo alla nostra prossima occupazione: la vita. Sempre la vita».
——-
The Valley (an apocalypse) siede sui gradoni del Romaeuropa Festival portando sulla scena il lavoro di Hans op de Beeck, di Eric Sleichim con la sua Bl!ndman Ensemble per la drammaturgia di Tobias Kokkelmans. Un’opera coraggiosa – andata in scena al Mattatoio di Roma – che conduce lo spettatore nei meandri onirici di psyché risvegliando in esso memorie sopite non proprie, o non del tutto, memorie che son al tatto simili e totalmente differenti, memorie che sono archè e che come tali vanno generando universi tanto personali quanto collettivi. In questo paesaggio simbolico contemporaneo riconosciamo un ensemble di sassofoni al cui centro suona magica una fisarmonica; la disposizione dei musicisti, dei gong, degli archi, dei bicchieri e degli altri oggetti di scena crea un cerchio estatico nel quale ogni realtà ha il suo contrappeso e riflesso, non solo per quel che riguarda lo spazio orizzontale ma anche e soprattutto quello verticale, poiché alla base del tutto vi è un rettangolo d’acqua, specchio fluttuante dell’animo umano, e dell’apparenza scenica di cui andiamo godendo.
Hans Op de Beek – artista visivo belga eclettico, abituato all’attraversamento delle diverse arti – ci dona un mondo fatto di ombre che sembra abitare al di sotto della superficie terrestre e nascere lì dove un portone arrugginito incontra la fantasia (un sogno?) di un ragazzo e questa delle scale costruite con le parole delle diverse generazioni: quelle dei nonni, delle nonne, dei padri e delle madri che per accompagnarci nell’addormentamento usavano narrarci delle storie, delle fiabe la cui magia portiamo ad oggi dentro noi, la stessa magia danzante immagini sensoriali di cui ci viene in questo mistero fatto dono, risvegliando in noi l’odore di anice e menta di un luogo, la sensazione delle onde sulle caviglie, l’assordante silenzio di un abbandono, il fruscio di un animale tra le foglie, il contatto penetrante d’un soffio d’amore sulla pelle, la pienezza di due corpi stesi e intrecciati in un raggio di luna, la lacerazione di un ricordo inafferrabile, l’impeto di un desiderio che sa di violenza, miele e sale. Evocazione di strati vitali sotto la scorza del pianto in una calma che sa di pace e tranquillità, d’abbandono e grazia.
Per quanto possa essere – nei contenuti – tragica la narrazione di The Valley (an apocalypse), scorgiamo in essa una profondità, un’estasi, una bellezza che permane, e risuona nelle liriche dell’angelo presente sulla scena, nella voce della donna della valle, nella musicalità e nelle vibrazioni dei sassofoni il cui apporto delinea forme di luce, sensazioni organiche, verginità esperienziali attraverso cui viene esaltata, più precisamente delineata, smorzata e accompagnata l’esperienza di Dirk Roofthooft, un interprete eccelso capace di catapultare lo spettatore all’interno dell’esperienza sensoriale di cui va raccontando, un interprete il cui corpo si fa scenario di immaginari, incontri, memorie, parole, desideri, bisogni trasmutandosi nell’uso della parola, attraverso la potenza evocativa del gesto. Il suo corpo è un atlante segnato dal tempo, e in esso la pastosità, la storia, l’adagio permette che si disveli l’amianto nella brillantezza di una perla.
Un’opera visiva capace di far entrare lo spettatore in un sogno tanto esteriore quanto interiore, nella cura degli elementi, nei suoni – dai più naturali ai più industriali – nella magia di un dispositivo scenico, nella luce celestiale che attraverso la pelle e delle palpebre, ora chiuse ora aperte, trasmette omeostaticamente la valle. Un’apocalisse poetica esistenziale la cui trattazione passa dal cannibalismo alla genitorialità, all’isolamento, all’erotismo… Un’esperienza in cui immergersi con tutto il corpo e l’attenzione necessaria. Consigliata visione.
———-
Crediti
Prima nazionale in lingua con sottotitoli in italiano
Ideazione: Eric Sleichim e Hans Op de Beeck
Composizione e direzione musicale: Eric Sleichim
Testo, regia, scena, scenografia e costumi: Hans Op de Beeck
Drammaturgia: Tobias Kokkelmans
Consulenza Artistica: Alex Mallems
Lighting design: Peter Quasters
Voce: Lore Binon
Attore: Dirk Roofthooft
Ensemble: Bl!ndman
Sassofonisti (di Bl!ndman): Raf Minten, Koen Maas, Piet Rebel, Pieter Pellens
Prodotto da: Muziektheater Transparant | In coproduzione con: deSingel, Zeeland Nazomerfestival, Bl!ndman, Tandem scène nationale and Romaeuropa Festival | Con il supporto di: Tax shelter of the Belgian Federal Government.