E plural unum
Ca’ Giustinian, 5 Ottobre, 16.30
Protagonisti di questa edizione sono stati gli ensemble che provenienti da diversi paesi dell’area europea hanno portato una rappresentanza della musica locale, spesso lontana dai circuiti italiani come il grande numero di prime italiane di quest’anno può dimostrare.
Nell’acusticamente ottima cornice di Ca’ Giustinian, il Plural Ensemble si è contraddistinto per un concerto dagli abbinamenti particolari.
Se ad esempio i due brani Ametsak di Gabirel Erkoreka, presente in sala, sembrano dei piccoli discorsi onirici a cinque in cui ogni strumento concepisce un proprio discorso musicale, Epistola al transuente di Luis de Pablo ricorda un tortuoso racconto privo di apparente logicità, in cui l’autore sfida gli esecutori in continui ed impegnativi momenti omoritmici.
Diversa la costruzione di Nebmaat di Alberto Posadas che studia il registro acuto degli strumenti coinvolti (clarinetto, sax soprano, violino, viola, violoncello e pianoforte) costantemente sfidandoli sulla tessitura alta. Interessante coda finale in mormorando.
Arquitecturas del limite di José Maria Sanchez-Verdù cattura l’attenzione per una frammentazione che rispecchia il lavoro in itinere di un brano che continua a generarsi da più di quattordici anni.
A conclusione il brano del capace direttore Fabian Panisello, à 5. Le sezioni che lo contraddistinguono sono felicemente antitetiche fra loro, dando così una intrigante panoramica, quasi una anteprima, di molti mondi.
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Soli con orchestra
Teatro alle Tese, 5 Ottobre, 20.00
Ci sono forme classiche che superano ogni trasformazione e ricerca musicale.
L’idea di uno o pochi strumenti che si confrontano con un “tutti orchestrale” è sempre stato un territorio da esplorare e con cui fare i conti, in ogni secolo.
Il primo concerto della serata si è contraddistinto per il grande sangue freddo del clarinettista Michele Marelli che interrotto da un errore tecnico ha ripreso il non facile brano Hysteresis di Michel Van der Aa senza per questo inficiare la sua prova, estremamente precisa, votata alla parte scritta.
Rischioso ma valido l’uso della traccia registrata che aumenta le dimensioni sonore del brano donandone una profondità diversa dall’ascolto usuale, conducendo l’ascoltatore fra atmosfere stranianti e ritmi quasi di danza.
Spazio poi a due leoni d’oro, uno alla contemporaneità e uno alla carriera.
Del primo la commissione Biennale dal titolo Rappresentazione di anima e di corpo.
Un concerto, quasi scenico in cui i due solisti, Armand Angster, al clarinetto basso, e Francoise Kubler, soprano, già visti alla rassegna 23OFF di tre anni fa cambiano posizione, dotando così la voce di un effetto quasi lontano nella prima parte.
L’autore Claudio Ambrosini confeziona un compendio di effettistiche ed elaborazioni, soprattutto a percussioni e pianoforte, dotandoli anche di strumenti non convenzionali, all’interno di un flusso musicale in cui hanno grande risalto i crescendo, ben preparati e climatici all’ultimo oltre cui solo timpani e arpa fanno eco.
Del secondo invece una prima italiana. Il Konzert in eneim Satz di Wolfgang Rihm vede come solista il violoncello, impersonato in questo caso da Fernando Caida Greco che stringe lo strumento a mo’ di viola da gamba.
Il risultato è più intimistico ma agevola il dialogo continuo fra l’orchestra e il solista. L’autore utilizza un particolare lirismo contemporaneo in cui sono evidenti le origini strutturali tipicamente classiche ma ugualmente modificate in un unico movimento dotato di due cadenze. Impossibile però celare lo stile classico declinato al contemporaneo, soprattutto in quelli che sono sembrati dei veri e propri recitativi accompagnati.
Eccellente prova di Peter Rundel alla guida dell’Orchestra della Toscana che si dimostra estremamente versatile su tutti gli aspetti della contemporanea presenti nella serata e ottimo partner per qualsiasi solista.
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Leoncini alla riscossa
Teatrino dell’Arsenale, 6 Ottobre, 19.00
Appuntamento atteso quello della Biennale College che dal 2013 caratterizza le domeniche della Biennale e desta sempre interesse per quello che sono le idee dei giovanissimi.
L’interessante innesto dell’elettronica all’interno del bando di selezione alzava ulteriormente l’asticella dei compositori che non dovevano così solo essere in grado di comporre ma anche di valorizzare una dimensione ulteriore.
Ab Ovo – musica di Talya Eliav, libretto di Liron Barchat.
Può un’opera non farsi capire? Ab ovo sfrutta un metalinguaggio, fortunatamente sottotitolato per raccontarci di un mondo ovocentrico. La trama molto semplice dell’elemento sorprendente che rompe gli schemi robotici della routine (un ufficio in cui una segretaria pone le uova portate al giudizio di una macchina) viene ottimamente sottolineata dalla musica, quasi di sottofondo ma capace di sottolineare i punti climatici e dalla buona prestazione dei cantanti e degli attori.
Tredici secondi o Un bipede implume ma con unghie piatte – musica Marco Benetti, libretto di Fabrizio Funari.
Accomunata alla precedente per la regia di Francesca Merli e le scene di Davide Signorini che scelgono di citare apertamente Rocky Horror Picture Show, porta lo spettatore in un racconto apparentemente senza senso in cui solo alla fine, una volta sopito il bisogno di una spiegazione, si coglie la ricorsività della trama.
Musicalmente l’opera ha due facce, strettamente legate alla deriva del protagonista. Se all’inizio si possono riconoscere alcuni innesti classicheggianti, come la psiche del protagonista, questi vanno sfibrandosi, degenerando in un linguaggio quasi sciarriniano.
La Meccanica del Colore – musica di Nuno Costa, libretto di Madalena dos Santos.
Il tema del demiurgo e della creazione che superi la mortalità umana ha sempre fatto parte della tradizione letteraria. Qui il dott. Frankenstein della situazione costruisce un robot umanoide che dovrebbe dipingere i paesaggi che il suo creatore non può più vedere di persona. Troppi pochi venti minuti (questo il tempo a disposizione degli autori) per affrontare un tema psicologicamente e umanamente così vasto.
Trashmedy – musica di Alessandro De Rosa concept e libretto di Mimosa Campironi.
Lasciate le sonorità contemporanea, quest’ultima opera ritorna sul solco pucciniano, proponendo interventi musicali molto lirici. Il tema recente e sentito dello snaturamento della natura e dell’uomo (che sia per l’inquinamento o per l’impossibilità di ascoltare musica) permette al pubblico di immedesimarci meglio nel libretto che risulta funzionale alla musica
Con la regia di Pablo Solari e le scene di Maddalena Oriani, l’opera diverte e fa pensare.
Ottima partecipazione dell’Ensemble Novecento dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia diretta dal bravo Matthieu Mantanus ed esordio del Centro di Informatica Musicale e Multimediale della Biennale di Venezia.