Asmik Grigorian e Joshua Guerrero emozionano e commuovono la platea in una Manon Lescaut di grande impatto drammatico.
L’artista lituana, appena eletta cantante dell’anno dalla giuria dei critici di Opernwelt, controlla e modella la sua gran voce di soprano per rimandare tutte le pulsioni sentimentali della protagonista. Perfetta in ogni registro, dalle note più alte ai colori più scuri, impressiona per la sicurezza e la luminosità del canto. E unisce ai potenti mezzi vocali una presenza scenica espressiva e precisa che rimanda una Manon tenera ed energica allo stesso tempo. Joshua Guerrero certo non sfigura al suo fianco nel disegnare le ossessioni amorose di des Grieux . Il giovane tenore americano, al suo debutto in Germania, alterna facilità negli acuti e morbide sfumature. Con i due in scena il quadro finale dell’opera è impressionante per forza drammatica e quando la Grigorian attacca “Sola perduta abbandonata… ” ci si sente davvero trasportati in una landa brulla dove uno spirito vitale si sta spengendo pur lottando per non morire.
La statura degli interpreti travalica anche l’approccio registico di questa nuova produzione dell’Opera di Francoforte. Àlex Ollé, uno dei fondatori del La Fura dels Baus, muove la storia di Manon ai nostri giorni e mette l’accento sul dramma dei rifugiati. Manon è un’immigrata irregolare da un qualche est europeo. Il video iniziale ce la mostra varcare illegalmente una frontiera e poi lavorare in un laboratorio tessile clandestino. Questa Manon è una ragazza come tante altre che popolano le nostre strade. Pantaloni attillati, gomma americana in bocca e ossigenatura cheap. E l’amore a prima vista con De Grieux scatta al bar di una stazione di bus, dove si aggira anche il losco e stagionato Geronte in versione boss del quartiere. Nel secondo atto la ragazza si dà da fare in short rossi sperluccicanti e zatteroni di plastica in un night club di tabledance, ovviamente gestito dallo stesso Geronte. Sullo sfondo campeggia una gigantesca scritta rossa luminosa ‘L-O-V-E’. Manon, combattuta fra il grande amore e la sicurezza del benessere, è infine arrestata e la ritroviamo in una gabbia stile Guantanamo in attesa di essere espulsa dal paese. I venti minuti conclusivi, il deserto della Louisiana nell’originale, sono un non-luogo. Una piana grigia in cui campeggiano le grandi lettere, adesso scolpite nella pietra.
Nonostante i richiami monumentali all’Amore, la storia di Ollé strizza un po’ troppo l’occhio all’attualità. Il contenuto sociale e politico (il dramma dei rifugiati, lo sfruttamento del corpo femminile … manca solo la catastrofe ambientale prossima ventura) è pressato un po’ a forza nel dramma lirico di Puccini, ma le scenografie di Alfons Flores sono visivamente molto efficaci (grazie anche ai costumi precisi di Lluc Castells) e accentuano lo spirito ‘cinematografico’ dell’opera.
Alla guida della Frankfurter Opern- und Museumsorchester Lorenzo Viotti, giovane e già affermato direttore italiano (designato direttore principale della Netherlands Philharmonic Orchestra e dell’Opera Nazionale di Amsterdam) ricrea con eleganza una partitura poliedrica, a tratti quasi impressionista, che accompagna con precisione ogni singolo gesto in scena e rimanda ondate di passione amorosa, brama, dolci tenerezze e abissi di disperazione.
Bene anche i comprimari. Iurii Samoilov si immedesima in Lescaut, l’ambiguo fratello di Manon. Solido e perfettamente calato nella parte il Geronte malavitoso del basso italiano Donato Di Stefano. Fascinosa per voce e gesto Bianca Andrew, compagna di Manon al nightclub. Come sempre ottimo il coro dell’Opera ai comandi di Tilman Michael.
In chiusura tripudio in sala e lunghi minuti di applausi per tutti i protagonisti con standing ovation finale.