La prima sorpresa è che il ritratto che compare nei manifesti e nelle brochure della mostra è insolitamente piccolo. Un olio su rame di appena 15 centimetri per 11, “Boy smoking”, dipinto da Lucian Freud nel 1950 e raffigurante Charlie Lumley, un giovane che abitava nel suo stesso stabile. Il suo volto è stato scelto come immagine iconica della mostra “Bacon, Freud, la Scuola di Londra. Opere della Tate“, visibile a Roma fino al 23 febbraio prossimo al Chiostro del Bramante (in via della Pace), gioiello di architettura rinascimentale a pochi passi da piazza Navona. “Sono gli anni in cui Freud dipinge seduto molto vicino al soggetto, un close-up, riuscendo a dare questo profondo senso di intimità”, spiega la curatrice dell’esposizione Elena Crippa, rilevando come di fronte al dipinto “siamo come bloccati nell’energia di questo studio psicologico del soggetto: questo viso così straordinario, questi grandi occhi, quest’immagine incredibilmente dettagliata, questo senso d’isolamento del viso che diventa così intenso”.
Intimità e intensità sembrano proprio essere le parole chiave della mostra, che piacevolmente convince per la compattezza e l’interesse per la ricerca e l’introspezione, oltre che per l’altissima qualità delle opere (comprese in un periodo che va dal 1945 al 2004). Più di 45 dipinti, disegni e incisioni (tutti prestiti della Tate) di artisti raggruppati nella School of London: personalità eterogenee, visionarie e radicali, attive perlopiù nella seconda metà del Novecento, che trovarono nella capitale inglese accoglienza e ispirazione. “Questi sei artisti – riprende Elena Crippa – sono accomunati dall’importanza accordata alla rappresentazione dell’altro, della figura umana, di cui esplorano forma e fragilità e a cui dedicano potenti rappresentazioni. Scrivono uno dei capitoli più significativi dell’arte moderna britannica, in cui la pittura si fa testimonianza di un’esperienza di vita personale, sensuale e spesso violenta. Sono artisti che hanno vissuto il loro piccolo dramma esistenziale in un contesto intimo”.
Di Francis Bacon l’esposizione del Chiostro del Bramante presenta alcuni dipinti e disegni che ritraggono figure isolate, poste teatralmente all’interno di un ovale o di un cubo (come in “Seated figure” del 1961, in cui la cornice spaziale bianca si sovrappone al salotto borghese in cui è inserita la figura, ossia l’ex amante Peter Lacy), una costruzione che permette all’artista di trasformarle in pure immagini, affrancate quindi dall’illustrazione e dal racconto. Nelle sue opere sotto osservazione è la condizione umana, inquadrata soprattutto nella sua fragilità, nella crudezza, nella nudità disarmante e materica, nell’angoscia che spesso permea l’esistenza. Ognuna delle opere di Bacon presentata alla mostra meriterebbe un’ampia dissertazione: tra le tante, scegliamo il meraviglioso ritratto della sua amica Isabel Rawsthorne (1966). L’attenzione – anche in virtù dello sfondo piatto e scuro – è interamente concentrata sul viso, il ritratto ha un ritmo piramidale (la figura è disposta come in un ritratto convenzionale), ma l’immagine, seppur riconoscibile nei suoi tratti salienti, è disgregata dalla distorsione, le pennellate di colore dissolvono la carne, il viso si trasfigura e si decompone come in una manifestazione soprannaturale.
“Vorrei che i miei ritratti fossero delle persone, non simili a loro. Non avere uno sguardo sul soggetto, ma essere loro”, disse Lucian Freud in un’intervista al Guardian nel 2002. Il suo lavoro è puramente autobiografico, riguarda l’artista e ciò che lo circonda. Ama dipingere dal vivo, scrutando intensamente i suoi soggetti, cogliendo appunto l’essenza della persona, cercando una storia in ogni gesto umano, anche il più semplice. Mirabili esempi sono le due raffigurazioni della prima moglie Kathleen Garman (“Girl with a Kitten” del 1947 e “Girl with a White Dog” del 1950): attraverso l’adozione di una distanza “analitica”, la precisione estrema del disegno, l’applicazione scrupolosa al dettaglio, emerge la complessità (ma anche la stanchezza) della loro relazione. Altrettanto esemplari sono i suoi nudi, dove Freud impiega il suo pensoso realismo nella rappresentazione del corpo umano che assume consistenza scultorea: “David and Eli” (2003), in cui ritrae l’amico e assistente David Dawson con il suo cane, portando in superficie l’intrinseca natura animalesca del corpo umano nudo, e “Standing by the rags” (1988), dove la figura della modella è tutto fuorché idealizzata, ma còlta in una posa scomoda e forse assente, raffigurata nella sua fisicità grossolana, con la pelle ruvida, le carni cascanti e arrossate, i piedi sovradimensionati.
La mostra permette anche di approfondire la conoscenza di artisti importanti ma meno noti al grande pubblico. La portoghese Paula Rego, che lascia il proprio Paese per studiare pittura nelle scuole inglesi, di cui nella mostra ammiriamo il grande dipinto “The Dance”, che illustra oniricamente tutte le fasi dell’esistenza di una donna. Il berlinese Frank Auerbach, approdato a Londra scappando dalla Germania nazista, il cui abituale metodo di lavoro prevedeva che disegnasse, cancellasse e rielaborasse costantemente l’immagine, oppure il norvegese Michael Andrews, artista che si dirige verso un realismo di tipo esistenzialista, di cui apprezziamo il tenero e intenso “Melanie and Me Swimming”, dove si ritrae in una piscina naturale con la figlia di sei anni. Infine il figlio di ebrei russi Leon Kossoff, il cui stile è caratterizzato dall’applicazione di spessi strati di colore nelle tonalità della terra che vengono costantemente rielaborati.