Dopo oltre trentacinque anni, la commedia più rappresentata di Dario Fo e Franca Rame resta attuale per satira e anticonformismo, dal ritmo ben calibrato sulle dinamiche di coppia. La scrittura può rivelare passaggi e battute oggi scontati, ma nel 1983 il testo è stato davvero dirompente e coinvolgente, diventando molto popolare e rappresentato.
Protagonisti sono due coniugi un po’ annoiati dalla vita di coppia, il cui rapporto è minato dalle frequenti infedeltà del marito che si giustifica col solito distillato maschilista che con le altre è sesso e non amore e che lei è la donna più importante della sua vita perché la stima moltissimo! La donna, dopo gli infruttuosi tentativi di risvegliare l’interesse del partner anche inscenando il suicidio, decide di uscire dall’impasse proponendo di sperimentare una nuova modalità, quella cioè di vivere in maniera libera concedendosi vicendevolmente delle relazioni extraconiugali. Banditi così i sensi di colpa e le gelosie, la vita può assumere un precario equilibrio senza sotterfugi, tornando lei ad essere oggetto di desiderio e non elemento di tappezzeria.
La moglie ha una personalità dalle molteplici sfaccettature emotive e mentali. È vero che nei momenti di avvilimento tenta il suicidio, escludendo i farmaci perché “l’aspetto seccante del salvataggio è la lavanda gastrica”; però, quando reagisce, è ironica, sarcastica e dissacrante, ridicolizzando il marito, specie quando porta le sue conquiste in casa “non vi ho ancora mostrato la vostra camera da letto … che poi è anche la nostra!”.
Ma, nell’ottica maschile che l’agognata parità dei sessi non ha ancora scardinato, la libertà sessuale non è biunivoca, funziona solo quando è aperta alle voglie dell’immaturo e puerile marito. Quando la propria donna diventa appetibile per altri uomini, il maschio ne reclama l’esclusiva tornando alla carica con un vasto repertorio di luoghi comuni per sbaragliare il concorrente, fosse pure un candidato al Nobel.
Protagonista assoluta è la donna che, con ritmo serratissimo, sviluppa le sue considerazioni mentre descrive il suo rapporto matrimoniale e si cambia d’abito, in scena, sottolineando i passaggi della sua evoluzione psicologica; l’uomo tenta solo di arginare questa straripante lucidità con qualche opportunistico intervento.
Francesca Bianco è sempre più brava. Incarna il ruolo della moglie con la naturalezza di chi vive la condizione che descrive, la stessa naturalezza che aveva Franca che il personaggio lo aveva pensato e interiorizzato.
La scioltezza, l’intonazione milanese, la disinvoltura con cui si rivolge al pubblico come alle amiche cui si confida, le consentono di conquistare un naturale passaggio di testimone con Franca Rame.
Antonio Salines è adeguatamente sornione, opportunista e sprovveduto.
L’amante del finale è lo stesso regista Carlo Emilio Lerici.
Si ride e ci si identifica malinconicamente.