Coproduzione europea fra la Royal Opera House, Opéra National de Paris e Teatro Massimo di Palermo, il “Don Pasquale” con la regia di Damiano Michieletto è in scena a Londra in questi giorni.
Lo spettacolo diretto dal M° Evelino Pidò avrà ulteriore spazio nei cinema europei il 24 ottobre quando, grazie alla distribuzione Nexo Digital, sarà visibile in diretta via satellite.
Prima di due interviste ai protagonisti di questa produzione, il M° Michieletto ha condiviso il suo metodo di lavoro e ha approfondito l’opera di Donizetti.
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– Il suo Don Pasquale, dopo il felice responso di pubblico e critica a Parigi, arriva a Londra. Diverse nazioni, un pubblico con tradizione e gusti differenti. Dalla sua esperienza nei teatri europei ha individuato reazioni diverse da parte del pubblico? Quale reagisce meglio alla comicità dell’opera italiana? Quale invece, se c’è, non la coglie?
In genere il pubblico francese ha un gusto simile a quello italiano. Gli inglesi sono più legati ad una visione in cui la chiarezza della narrazione e il realismo della messa in scena sono molto importanti, mentre il pubblico tedesco coglie ed apprezza una visione più simbolica e concettuale, anche a discapito dell’immediata leggibilità. Ma resta il fatto che la comicità italiana deriva dalle maschere della commedia dell’arte, da cui lo stesso Shakespeare ad esempio ha preso a piene mani per creare i suoi personaggi più divertenti. Quindi è un genere che piace e diverte tutti anche se viene trattato in modi diversi.
– Don Pasquale è formalmente un’opera buffa ma con alcune tematiche come l’amore senile e il contrasto fra le generazioni che rigano di malinconia la trama. Ci può parlare dell’idea che si è fatto del Don Pasquale, a quali componenti ha voluto dare più spazio e in che modo li ha sottolineati?
Ho voluto creare un racconto “cinematografico” nel suo svilupparsi in modo realistico, ma giocando al teatro. Ad esempio con i cambi scena, con l’uso dello spazio e dei video: è un giocare con le possibilità e gli inganni del teatro, perché la vicenda di Don Pasquale è fatta di inganni e travestimenti. È una storia divertente e io ho cercato di non perdere le caratteristiche ironiche che si sentono nella musica di Donizetti, anzi di esaltarle con molte idee diverse. Al tempo stesso in alcuni punti ho inserito delle note più serie e un finale dove lo stesso Don Pasquale viene trattato con cinismo.
– Lei è un regista conosciuto e rispettato da pubblico e critica anche per il particolare approccio che dedica alle opere in cui non mancano chiavi di lettura e punti di vista personali. Come approccia un’opera o una nuova produzione di un’opera? Cerca il particolare che la incuriosisce e a cui non aveva mai pensato o parte da un lavoro di base creando poi i contorni?
Parto da quello che la musica mi ispira, cioè cerco sempre di fare un racconto che sia il più possibile legato alla musica e trovi vitalità teatrale nella musica. Cerco di fare in modo che i personaggi non siano scontati, ma siano presenti sul palcoscenico con dinamismo e umanità. In genere parto da una visione legata ai personaggi e allo spazio in cui si muovono, cerco di definire i conflitti che stanno alla base della storia e poi sviluppo i particolari. Il teatro ci racconta la vita e ogni regista cerca, ciascuno col proprio linguaggio, di creare una esperienza teatrale viva e comunicativa.
– Le produzioni operistiche trovano spazio con regolarità nelle programmazioni dei cinema e delle televisioni. Questo tipo di fruizione cambia qualcosa nell’ottica registica? E cosa cambia nella narrazione che Lei pensa per quella determinata opera?
Al cinema si notano i dettagli, le riprese mostrano i primi piani, gli oggetti sono visti in modo ravvicinato. Non è lo sguardo che può avere lo spettatore dalla platea. È la ripresa di uno spettacolo, quindi il pubblico del teatro rimane comunque il mio referente. Si potrebbe pensare ad un lavoro più elaborato cinematograficamente, con un montaggio più serrato e con cambi di inquadrature, ma questo comporta un lavoro diverso. Per me sapere che un’opera viene vista al cinema significa essere più attento ai dettagli anche nell’attrezzeria e nei costumi.