di Ariella Vidach / Claudio Prati
Danzatori Paolo Borbonaglia, Cecilia Borghese, Lorenzo Castelletta, Riccardo Ciarpella, Aurora Conte, Albina Dyli, Mateo Mirdita, Giulia Strambin,
UR10 Universal Robot
Coreografia Ariella Vidach
Assistente alle Coreografie Anna Manes
Scenografia Claudio Prati
Costumi Ariella Vidach / Claudio Prati
Musiche Originali Luca Salvadori
———-
Quattro ballerine e tre ballerini tengono compagnia danzante a un robot sprigionante traiettorie luministiche di pura avanguardia futurista. Il palco è la scena della ricerca e della scoperta, oltre che del ritrovamento di sé. I corpi si susseguono in movimenti ampi e gradualmente più liberatori, in un crescendo di dinamismo volumetrico e plastico, a mò di specchio d’immagini video astratte. Ma non è tanto l’avanguardia che sembra interessare gli autori Ariella Vidach e Claudio Prati, quanto una esposizione concettuale e simbolica della realtà attuale, con l’uomo asservito e condizionato dalle tecnologie che sempre più hanno ridotto la sua vita a una vera e propria dipendenza solo marginalmente benefica. L’uomo, con il suo corpo, si ritrova così preda di un meccanismo automatizzante, tale da ridurlo a un prodotto virtuosistico e virtuale del potere. I danzatori designano bene forme smaterializzanti e replicanti, in un invocato passo a due tra uomo e macchina, disposta per testimoniare un processo in fieri di trasformazione, di natura labirintica, cubica, capziosa. I corpi, scolpiti e percorsi da luci proiettive, calde e fredde in mite alternanza, svolgono appunto il compito di tracciare una trasformazione in atto che è anche in ultimo, rappresentazione del desiderio di fuga dall’insopprimibile controllo meccanico/robotico. Percorso da fremiti compulsivi ed elettrici, corpo e macchina, desiderio e controllo, si sfidano a duello in un percorso affascinante e sempre più conturbante, a lungo andare ridondante nella riproposizione scenica e schemica di vecchie impostazioni e modelli di lontana antecedenza che lasciano solo in parte subitanee stimolazioni. Ma si accetta la scommessa e si esce disorientati dallo spettacolo sinestetico di anime in purgatorio e lampi di estasi in luce e ombra. A restare maggiormente impresse sono le immagini dei corpi dei danzatori formanti un tutt’uno, mentre cercano attraverso il pulsante ed espressivo lavoro coreografico di attraversare il palpabile, nel tentativo di distinguere il falso dal vero. L’immaginazione al potere ha le fondamenta di uno spazio cubico entro il quale riconoscersi con lo scopo d’imparare, un domani, a districarsi dalla fitta rete della scientificità applicata alla tecnologia.