Dal 24 ottobre al 3 novembre Gabriele Lavia inaugura la stagione in abbonamento del Teatro della Pergola con I giganti della montagna, il testamento artistico di Luigi Pirandello, punto più alto e sintesi della sua poetica. Dopo Sei personaggi in cerca d’autore e L’uomo dal fiore in bocca… e non solo Lavia completa la sua personale trilogia pirandelliana con un inno al prodigio straordinario del teatro come speranza, o meglio, una certezza laica, che la poesia non può morire per mano di alcun apparato.
“I Giganti sono gli uomini del fare, mentre il teatro – afferma l’attore e regista – è fatto dagli uomini dell’essere. Luigi Pirandello l’aveva capito molto bene. Perciò, ho voluto come scenografia un teatro distrutto. Distrutto perché ci vogliono costruire degli uffici per organizzare un teatro che non c’è, è morto, ucciso proprio dagli uffici. I Giganti è un testo profetico, di cui l’autore non scrisse mai il III e ultimo atto, perché non fece in tempo”.
La scena di Alessandro Camera, i costumi di Andrea Viotti (Premio Le Maschere del Teatro Italino 2019), le musiche di Antonio Di Pofi, le luci di Michelangelo Vitullo, le maschere di Elena Bianchini, le coreografie di Adriana Borriello, incorniciano la magica opera incompiuta di Pirandello in un allestimento maestoso, con un cast imponente di più di venti attori, anche mimi, danzatori, musicisti. La storia del mago Cotrone al cospetto del mistero dell’Oltre diventa una folle, poetica sarabanda ambientata in un tempo e luogo indefiniti, tra favola e realtà.
Numerosi gli eventi collaterali allo spettacolo. Lunedì 28 ottobre, ore 17, a Palazzo Fenzi, Gabriele Lavia incontra gli studenti universitari con una conferenza dal titolo «Vigliacco chi ragiona»: Lavia, Pirandello e i Giganti a cura di Renzo Guardenti. Giovedì 31 ottobre, ore 18, alla Pergola, Lavia e la Compagnia incontrano il pubblico, coordina Matteo Brighenti. Entrambi gli appuntamenti sono a ingresso libero fino a esaurimento dei posti disponibili. Inoltre, fino al 3 novembre, nella Sala Oro, è aperta la mostra gratuita Il figlio del Caos – Luigi Pirandello al Teatro della Pergola, visitabile il mercoledì e il giovedì dalle 15:30 alle 18:30 e, per i possessori dei relativi tagliandi di ingresso, in occasione degli spettacoli, dei concerti e delle visite guidate.
I giganti della montagna è una produzione della Fondazione Teatro della Toscana, in coproduzione con il Teatro Stabile di Torino, il Teatro Biondo di Palermo.
Il teatro celebrato come spazio salvifico, libero e indipendente, ultima roccaforte dell’umanità, in una società distratta e svuotata di princìpi e ideali. I giganti della montagna, diretti e interpretati da Gabriele Lavia, che inaugura la stagione in abbonamento del Teatro della Pergola dal 24 ottobre al 3 novembre, sono un poetico omaggio alle magie dell’arte, al prodigio straordinario che consola l’incompiutezza umana. Con questo spettacolo Lavia completa la sua trilogia pirandelliana aperta con Sei personaggi in cerca d’autore e proseguita con L’uomo dal fiore in bocca… e non solo.
“Pirandello vive con I giganti della montagna il suo grande momento espressionista. Si tratta di un espressionismo onirico, fantastico, visionario. Alcuni attori – spiega l’attore e regista nel programma di sala – si sono ridotti a essere quasi degli straccioni per seguire Ilse Paulsen, l’attrice moglie del Conte, che chiamano la Contessa. Vanno in giro come pezzenti a recitare la Favola del figlio cambiato, copione scritto per la Contessa da un certo autore, innamorato di lei, e morto per la disperazione di non essere corrisposto. È l’incubo della Compagnia. La donna, infatti, per espiare la colpa di quel suicidio, si ostina a voler recitare la Favola, che ovunque ha grande insuccesso. Il mondo non capisce più la poesia. Cotrone dà rifugio alla Compagnia alla villa La Scalogna: l’arte non può abitare in mezzo agli uomini, ma solo tra loro Scalognati. Gli artisti riescono a vivere unicamente fuori dal mondo”.
Nella Villa le magie succedono e basta. Questi sono eventi possibili solo nel mondo dell’oltre, della fantasia, della sovra-realtà, ai confini della coscienza, ai margini dell’esistenza, dove finisce quel gruppo di attori sperduti e disperati, perché senza più un teatro dove recitare, goffi sacerdoti di un’arte delusa, infelice, incompresa, impoverita, com’è diventato il teatro. Per questo, la scena di Alessandro Camera riproduce i palchi di un teatro all’italiana diroccato.
Cotrone è lo strano mago che lo abita e guida. Dice di essersi fatto “turco” per il “fallimento della poesia della cristianità”. Nell’interpretazione di Lavia è Pirandello stesso, ma non solo, è anche qualcosa di più.
“Cotrone vive nel fallimento, nella caduta del mondo, ai margini della vita – ragiona – e ai confini del sogno. Si è rifugiato o emarginato nella propria illusione che il teatro, cioè la poesia originaria, possa essere il luogo assoluto, fuori da ogni contaminazione. E lontano dai Giganti, dalle “forze brute”, da uomini che mettono paura soltanto a sentirli passare al galoppo. Nella mia vita ho visto molte edizioni dei Giganti della montagna: Cotrone era sempre cupo, malinconico, triste. Secondo me, invece, è allegro e incazzato. Perché è disperato”.
Il tempo e il luogo dell’azione sono indeterminati, tra la favola e la realtà. Ed è in questo spazio sospeso, in questo tempo non misurato, sottolineato dai costumi di Andrea Viotti (Premio Le Maschere del Teatro Italino 2019), dalle musiche di Antonio Di Pofi, dalle luci di Michelangelo Vitullo, dalle maschere di Elena Bianchini, dalle coreografie di Adriana Borriello, che il teatro può accadere comunque, “nella finita infinità che è la solitudine dell’anima sola con se stessa”. In scena, al fianco di Lavia, ci sono Federica Di Martino, Clemente Pernarella, Giovanna Guida, Mauro Mandolini, Lorenzo Terenzi, Gianni De Lellis, Federico Le Pera, Luca Massaro, Nellina Laganà, Ludovica Apollonj Ghetti, Michele Demaria, Simone Toni, Marìka Pugliatti, Beatrice Ceccherini – iNuovi, Luca Pedron – iNuovi, Laura Pinato – iNuovi, Francesco Grossi – iNuovi, Davide Diamanti – iNuovi, Debora Rita Iannotta, Sara Pallini, Roberta Catanese, Eleonora Tiberia.
“Il teatro è quell’accadimento misterioso e pagano – precisa Gabriele Lavia – che ha trasformato i viventi in una comunità di uomini, quando si sono rappresentati e riconosciuti in quella rappresentazione, nell’origine della coscienza di “essere quel che si è”. I Giganti sono snaturati dal non voler conoscere se stessi. I loro servi imitano i costumi di violenza, ignoranza e volgarità dei loro padroni. Quindi, non possono far altro che continuare a uccidere il teatro, la poesia originaria nata come specchio dell’uomo”.
In questa prospettiva, allora, non è un caso che il testo di Pirandello sia rimasto incompiuto e che alla fine del secondo atto scrive abbia scritto le ultime cinque parole della sua vita e, per Lavia, di tutto il Teatro delle maschere nude, con cui chiude i suoi Giganti ella montagna: “Io ho paura, ho paura…”
“Sapeva che doveva morire. Sono convinto – afferma Lavia – che abbia detto quel che ha detto per rassicurare il figlio sulla sua voglia di vivere: «Ho composto nella mente il III atto – non prendeva appunti, era un uomo di una memoria straordinaria – c’è un olivo saraceno, grande, in mezzo alla scena: con cui ho risolto tutto». Inventa, ma in realtà sta pensando alla morte. Credo che avrebbe chiuso il sipario con le quattro parole conclusive del II atto, messe in bocca al personaggio della seconda donna, Diamante, che ha la responsabilità di dare voce al testamento di Pirandello: «Ho paura, ho paura». Le indicazioni riportate dopo la sua morte sono un documento entrato a far parte della tradizione culturale intorno alla figura di un genio. Ma ci sono cose più importanti di cui tenere conto – continua – il Premio Nobel agrigentino sta lavorando alla sceneggiatura del film tratto dal suo Fu Mattia Pascal. Si sente male. Viene un medico, proprio nel momento in cui gli stanno cambiando il letto. Rimangono soli. Quando gli cava il sangue, Pirandello, per come l’ha poi raccontata il dottore, chiede: «Insomma, mi vuole dire che è questo?» E lui risponde: «Non deve avere paura delle parole: questo è morire». La cronaca racconta che abbandona subito la stesura della sceneggiatura e si mette a scrivere I giganti della montagna, il cui primo titolo è Fantasmi”.