Il silenzio grande è la somma di tanti silenzi in cui ristagnano i rapporti dei singoli componenti della famiglia. Il silenzio spesso è eloquente, ma non per Valerio Panic, scrittore di successo tre volte premio Strega.
Pur avendo dispensato fiumi di parole ai lettori è prigioniero di una sorta di contrappasso, poiché non ha coltivato il dialogo con i figli e la moglie, ritenendo che bastasse il benessere economico e la sua presenza in casa, oltre la porta chiusa dello studio che non potevano oltrepassare per non disturbarlo.
Ma, l’animo umano è più complesso e ha bisogno anche del non detto, che a volte condensa insicurezze e solitudini o segreti non confessati per timore del giudizio e del pregiudizio.
Circondato dai libri delle imponenti scaffalature, catalogati secondo il criterio di ‘omogeneità emotiva’ (maestose le scenografie di Gianluca Amodio), Valerio attende l’ispirazione per tornare a scrivere, e intanto allena il corpo con l’attrezzo ginnico al centro della stanza illuminata dal caldo sole del golfo di Napoli.
A scuoterlo dall’afasia sono le incursioni di Bettina (una strepitosa Monica Nappo) che spolvera e rassetta, ammonisce e consiglia, alla quale l’uomo ribatte compiaciuto con aforismi e citazioni dotte.
Dalla porta che immette nel cuore della casa, uno dopo l’altro entrano i familiari. La moglie rassegnata e dolente sottolinea la solitudine nella quale vive da tempo e accenna a difficoltà economiche che potrebbero travolgere il ménage. Irrompe il figlio, che rievoca la fanciullezza dominata da un cognome ingombrante e, infine, la figlia che confessa di innamorarsi solo di uomini attempati e in grado di competere con la figura paterna.
Bettina origlia e lo mette in guardia dal disastro che incombe sulla casa: moglie e figli si sono avvicendati esternando in un monologo insoddisfazioni e problematicità, senza chiedere il suo parere. Perché non lo considerano il perno autorevole della famiglia, incuranti della saggezza che dispensa tramite le parole di grandi classici?
La risposta sta nel disvelamento dell’intreccio da romanzo giallo che è la cifra della prosa di Maurizio De Giovanni, che per la prima volta si cimenta in un testo per il teatro con questa commedia intimista su sentimenti e rapporti parentali e intergenerazionali, punteggiata di umorismo intellettuale e un imprevedibile finale che svela i fantasmi che popolano il silenzio. Cattura l’emozione la messa in scena di Alessandro Gassmann, accattivante e dinamica con l’ausilio del velatino su cui proietta immagini del passato e figure collaterali.
Massimiliano Gallo plasma a tutto tondo il personaggio dello scrittore che tenta di arginare con la letteratura la deriva domestica, Monica Nappo è irrefrenabile nell’incarnare la bonomia e la saggezza popolare napoletana, origliando per offrire una sponda d’approdo. Essenziale e accorata è Stefania Rocca nel ruolo della moglie Rose, Jacopo Sorbini e Paola Senatore sono gli irrequieti figli.
“Una delle funzioni che il teatro può avere è quella di raccontarci come siamo, potremmo essere o anche quello che saremmo potuti essere. Questa storia ha poi al suo interno grandissime sorprese, misteri che solo un grande scrittore di gialli come Maurizio De Giovanni avrebbe saputo maneggiare con questa abilità e che la rendono davvero un piccolo classico contemporaneo. Per rendere al meglio, il teatro necessita di attori che aderiscano in modo moderno ai personaggi e penso che Massimiliano Gallo, con il quale ho condiviso set e avventure cinematografiche, sia oggi uno degli attori italiani più efficaci e completi” scrive Gassmann nelle note di regia.
Bella prova di scrittura teatrale e allestimento scenico per uno spettacolo imperdibile!