Lui e lei. Marito e moglie. George e Margaret. Un “minute man” tutto d’un pezzo e una donna alla ricerca, lenta e ansimante, di una presa di coscienza fulcro di tutto il dramma. Arizona. Una tragedia musicale americana prende forma dal testo del 2005 dello spagnolo Juan Carlos Rubio e racconta uno spaccato familiare che riflette la più grande situazione sociale e politica dello stato statunitense nel 2004. Un gruppo di normali cittadini si organizza in una milizia per il controllo del confine messicano. George si trasforma così in un “minute man”, mimeticamente vestito e munito di armi, binocoli e occhiali, mette in macchina la sua apparentemente frivola, ben vestita e pettinata mogliettina e parte alla volta del confine. I due “apparecchiano” lo spazio scenico di elementi clamorosamente americani, la cui ciliegina sulla torta è la bandiera degli Stati Uniti, piantata simbolicamente come l’appropriarsi di un territorio altrimenti vuoto, scarno, all’occasione ostile. Alla irreprensibile tenacia nello svolgere la “missione” di lui, lei risponde con iniziale insofferenza e sciatteria sfogliando riviste patinate e canticchiando omonime melodie tratte da musical, soprattutto da Tutti insieme appassionatamente. Il caldo, la noia e la perenne attenzione sul binocolo di lui scatenano le discussioni più vivaci fra i due, facendo emergere con la lenta e sofferta agonia del confronto linguistico una realtà intrisa di odio, intolleranza, razzismo, crudeltà e violenza. A questo proposito il picco del cambio di rotta, scenico e drammaturgico dello spettacolo, è segnato dall’atto sessuale consumato fra i due, che ha il retrogusto amaro di uno stupro. Non mancano momenti di ilarità e di riso nel pianto nel continuo battibeccare fra marito e moglie, ed empaticamente la coppia di attori composta da Laura Marinoni e Fabrizio Falco, anche regista dello spettacolo, riesce a calibrare al millimetro questo sottile equilibrio superato il quale cambierà tutto nel finale necessario quanto realistico, sorprendente quanto potenzialmente liberatorio.
La coppia piccolo-borghese sembra incarnare appieno certi discorsi che (generalizzando) forse potrebbero benissimo essere trasferiti a quelli di molte (se non troppe) famiglie italiane in questo sempre più pericoloso clima di odio incentrato sulla paura non tanto dello straniero ma addirittura dell’altro da noi, nella sua etimologia dal latino altĕru(m) che deriva da alĭus, diverso.