Proprio nei giorni delle celebrazioni del trentennale della caduta del Muro di Berlino arriva al Comunale di Bologna il Fidelio di Ludwig van Beethoven frutto della coproduzione tra lo stesso teatro e la Staatsoper di Amburgo. Ed è proprio la fase finale della Repubblica Democratica Tedesca il grembo della trasposizione spazio temporale in cui viene inserita l’opera, visibile nella scena fissa di Kaspar Zwimpfer e nei costumi di Lydia Kirchleitner. Il regista svizzero Georges Delnon dirige così un’opera rappresentata raramente in Italia, e a Bologna solo due volte nel ventesimo secolo, un’opera considerata dai più “scomoda” e musicalmente molto complessa. L’orchestra diretta dall’israeliano Ascher Fisch supera la dura prova dell’esecuzione dell’unica opera lirica prodotta dal genio di Beethoven, frutto di un intenso lavoro che portò il compositore alla stesura di ben tre versioni, scegliendo poi come definitiva la terza, andata in scena per la prima volta sotto la sua direzione proprio in Italia, al Teatro di Porta Carinzia di Venezia nel lontano maggio del 1814. Lo spunto drammaturgico frutto del libretto di Joseph Sonnleithner e Georg Friedrich Treitschke arriva dall’emozionante storia di Leonore, “fatto vero” accaduto al tempo della Rivoluzione, raccolto nelle Memorie di Jean Nicolas Bouillè e dallo stesso adattato a libretto per le note di Pierre Gaveau in Lèonore ou L’Amour conjugale.
Siamo nell’ampio salotto con splendide vetrate dove la dolce Marzelline (Christina Gansch) sta provando Per Elisa al piano, disturbata dall’invadente spasimante Jaquino (Sascha Emanuel Kramer). Il proprietario di casa è Rocco (Petri Lindroos), secondino del crudele Don Pizarro (Lucio Gallo) che dirige una casa di correzione in cui regnano sovrani soprusi e violenze ai danni dei prigionieri. Disvelati al pubblico tramite tre pannelli scorrevoli che nascondono tutto il marcio che si cela appena dietro la fiorita carta da parati dell’elegante appartamento, fra di essi si trova Florestan (Erin Caves), imprigionato e torturato solo per aver rivelato i loschi segreti di Don Pizarro. Nella trasposizione scenica di Delnon la libertà ricorre potente attraverso le frasi di Heiner Müller e Georg Büchner, proiettate su un telo nero che nasconde la scena nei momenti di maggiore intensità interpretativa dei protagonisti, alle prese con le arie più celebri. In questo modo le performance canore dei cantanti vengono arricchite di una cura attoriale che raramente oggi si vede in scena nelle opere liriche, evidente soprattutto nella Leonore di Simone Schneider, vocalmente quasi perfetta tanto negli affondi gravi che nei convincenti acuti. La donna che rinuncia alla propria femminilità battendosi per la libertà del marito imbracciando le armi e fingendosi un uomo è il motivo che spinse Beethoven a comporre il Fidelio, unica opera lirica da lui musicata, di difficile messa in scena proprio perché facente parte di un genere poco frequentato perché ibrido, solo in parte cantato e in parte recitato come nel teatro di prosa.
Nel suo Fidelio, Delnon ha scelto coraggiosamente ma anche sapientemente di tener conto dell’anima “teatrale” dell’opera, confermando l’idea che osanna il genio musicale di Beethoven non solo in sonate, quartetti e sinfonie ma anche in quella meravigliosa musica “messa in scena” che diventa teatro essendo fruita anche dall’occhio oltre che dall’orecchio. Sonori applausi accolgono i cantanti, il direttore d’orchestra e, non per ultimo, il Coro del Teatro Comunale di Bologna, compatto e perfettamente armonioso come sempre.