Il mito di Cleopatra ha affascinato nei secoli decine, forse centinaia di artisti, che ne hanno fatto una musa per le più svariate produzioni artistiche, rendendo l’ultima regina d’Egitto una delle figure più iconiche della storia dell’umanità.
Non da meno Giulio Cesare in Egitto, quinta opera composta da Georg Friedrich Händel per la Royal Academy di Londra, nel 1724 – nonostante il titolo imperniato sul protagonista maschile – non è solo una celebrazione della vita di Cleopatra, ma anche di quello che essa in qualche modo rappresentava: il simbolo di una grandiosa civiltà ormai sul viale del tramonto, destinata ad essere assorbita dall’egemonia di quella che era la nuova dominatrice del mondo: Roma.
Proprio su questo aspetto il regista Robert Carsen costruisce una similitudine innestata nella modernità, riadattando la scena e le vicende dei personaggi in un senso che fatica ad essere comprensibile fino all’atto finale, quando nello spettatore si crea una vera e propria epifania (che non sveleremo in queste righe).
Un’epifania che chiude puntualmente il cerchio del significato di quanto osservato sul palco, rimettendo a posto tutti i punti segnati nei tre atti precedenti.
Insomma, una produzione davvero degna di nota, che trasforma in qualche modo un’opera barocca in qualcosa di estremamente moderno, senza snaturarne l’essenza più profonda: un’impresa quasi impossibile, ma in questo caso pienamente riuscita anche grazie alla sensibilità del direttore Giovanni Antonini, che ci ha regalato una concertazione equilibrata, raffinata e ricca di sfumature.
Una bacchetta filologica, ma allo stesso tempo intonata al tenore della messinscena, con un equilibrio perfetto tra buca e palcoscenico, al di sopra del quale i cantanti si sono dimostrati altrettanto all’altezza della sfida.
Il Giulio Cesare di Rejun Mehta è stato raffinato, introspettivo e ricco di sfumature psicologiche, pur mantenendo il controllo perfetto della voce, anche nelle parti più sfidanti da un punto di vista tecnico.
Altrettanto Sara Mingardo, nel ruolo di Cornelia, ci ha regalato dei momenti sublimi di introspezione e irrequietezza sincera, grazie anche ad un apparato vocale degno di nota e ad un controllo perfetto dei fiati in tutte le sfumature più intime del personaggio.
Sicuramente all’altezza, ma meno degna di nota, la Cleopatra di Danielle De Niese: certo raffinata e in linea con il resto del cast, ma forse con qualche difficoltà in più. Bravi anche Christophe Dumaux, nel ruolo di Tolomeo, Philippe Jaroussky nel ruolo di Sesto Pompeo, Renato Dolcini, nel ruolo di Curio, Christian Senn nel ruolo di Achilla e Luigi Schifano nel ruolo di Nireno.
Non delude come sempre il coro del Teatro alla Scala, diretto dal maestro Bruno Casoni.
A fine recita applausi fragorosi per tutto il cast e per il direttore, da un teatro quasi al completo.
———
Giulio Cesare in Egitto
di Georg Friedrich HändelOrchestra del Teatro alla Scala su strumenti storiciNuova Produzione Teatro alla Scala
Direttore | Giovanni Antonini |
Regia | Robert Carsen |
Scene e costumi | Gideon Davey |
Luci | Robert Carsen e Peter van Praet |
Video | Will Duke |
Coreografia | Rebecca Howell |
Drammaturgo | Ian Burton |
CAST |
|
Giulio Cesare | Bejun Mehta |
Cleopatra | Danielle de Niese |
Cornelia | Sara Mingardo |
Sesto Pompeo | Philippe Jaroussky |
Tolomeo | Christophe Dumaux |
Achilla | Christian Senn |
Curio | Renato Dolcini |
Nireno | Luigi Schifano |
Gli estratti cinematografici proiettati durante lo spettacolo provengono da Cleopatra (1963) (Courtesy of Twentieth Century Fox), Cleopatra (1934) (Courtesy of Universal Studio Licensing LCC) e da Caesar and Cleopatra (1945) (Courtesy of ITV Archive).