di Rita Frongia
regia Claudio Morganti
con Isadora Angelini, Gianluca Balducci, Gaetano Colella, Massimiliano Ferrari, Rita Frongia, Claudio Morganti, Francesco Pennacchia, Luca Serrani, Gianluca Stetur, Paola Tintinelli
luce Fausto Bonvini
organizzazione Adriana Vignali
produzione Teatro Metastasio di Prato, TPE-Teatro Piemonte Europa, Armunia-Castiglioncello, Esecutivi per lo spettacolo
PRIMA ASSOLUTA
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Va in scena al Teatro Fabbricone di Prato l’opera di Rita Frongia “Il caso W”, diretto da Claudio Morganti, che riprende il lavoro teatrale dello scrittore tedesco Georg Büchner. Lo spettacolo descrive l’assassinio di Marie compiuto dal soldato Franz Woyzeck, suo amante, nel 1824 a Lipsia.
All’inizio il buio, un’atmosfera tetra resa ancor più agghiacciante dall’improvvisa luce fredda che si accende ad occhio di bue sul condannato a morte.
Un respiro profondo, bloccato, ansimante dà il via ad un monologo delirante, ma nello stesso tempo fatto di immagini chiare e dettagliate, che nascondono tra le righe l’inconsapevole confessione del brutale omicidio di Marie.
Comincia il processo di riesame del caso Woyzeck; la scena si apre ma solo per illuminare le parti che intervengono vicendevolmente. Tutto il resto rimane in ombra, perché ciò che emergerà non sarà la verità di Woyzeck ma un dramma tragicomico che gioca sulla vita di un essere umano, vittima degli orrori della guerra, di esperimenti e di un animo troppo sensibile per sopportare tutto il dolore provato nella vita senza che questo lo portasse a conseguenze fatali.
La scritta appariscente “La Legge è uguale per Tutti” che come una spada di Damocle sovrasta la corte viene ridicolizzata da un susseguirsi di testimoni che per un motivo o per un altro non leggono il giuramento che li impegna a dire tutta la verità nel rispetto della loro responsabilità morale e giuridica. Un goffo cancelliere farà le loro veci di fronte agli occhi di un giudice inetto, interpretato dallo stesso Claudio Morganti, che nel pretenzioso tentativo di ricostruire il fatto si trova a dover interpretare le dichiarazioni carnevalesche rese dai testimoni e accentuate dagli avvocati delle parti.
E sono proprio i due avvocati, uno alla difesa e uno all’accusa, che urlando, cantando, scimmiottando catturano parole e frasi dette dai deliranti testimoni come prove inconfutabile, trasformando l’intero processo in una farsa.
L’imputato, al fianco del suo avvocato difensore, appare come una figura che appartiene già all’al di là; ci si dimentica della sua presenza se non per occasionali tentativi di correggere alcuni giudizi emersi durante il processo. È evidente la figura di un uomo soffocato dagli eventi, come si percepisce anche nel suo respiro affannato, una vittima che ha servito la patria andando in guerra come soldato per poi diventare cavia per gli esperimenti di un medico e racimolare in questo modo un po’ di soldi per mantenere sé stesso e Marie.
Una vittima resa folle dagli orrori visti e subiti e da un animo forse fin troppo gentile per sopportarne il peso. Un uomo di certo non più folle di tutti i personaggi che si susseguono e che nel loro essere apparentemente normali e dotati di capacità di giudizio mostrano tutte le loro mancanze, i loro squilibri e la loro miseria.
Si rimane impressionati dalla capacità degli attori nel far partecipare lo spettatore ad un mondo fatto di maschere reali, dove l’ago della bilancia della giustizia è come una bandiera esposta al vento che segue la direzione più semplice, più banale, più rapida e forse anche più conveniente.
Tutta la scena è perennemente avvolta da un’oscurità opprimente che sembra stringersi sempre di più via via che il processo arriva alla conclusione.
Non viene fatta luce, infatti, sul caso Woyzeck, e la morte, impersonificata da Marie, avanza imperturbabile per poi divenire impaziente come fosse stata sempre lì presente, per tutto il processo, fino ad allora in attesa di prendere ciò che era già suo e il soldato la segue obbediente.