Rispetto per le parole. Quelle dette, quelle sussurrate, quelle urlate e sputate. Rispetto per le parole. Questo è ciò che dovremmo ricordare in questo momento storico in cui i termini si spogliano del loro significato e vengono rivestiti di quella superficialità che fa perdere autorevolezza e a volte, ahimè, dignità al soggetto che le pronuncia. In questo presente sempre più di frequente si tende a usare il linguaggio in modo superficiale, a volte del tutto errato; altre volte la volgarità è protagonista del messaggio. Probabilmente questo è conseguente al fatto che la società attuale è più stressata, aggressiva, anche impudica nel suo mostrarsi per quello che è, nella sua bestialità darwiniana. La velocità di questo presente ci fa perdere l’attenzione verso ciò che diciamo, conta solo come ci mostriamo, non c’è bisogno infatti della sostanza in un messaggio su un telefonino, in un’apparizione televisiva, in una chat su un social network. È ormai usanza amministrare un Paese attraverso Facebook e Twitter; che bisogno ha in questa direzione la politica di usare le parole se non solo a fini propagandistici? Vengono usate parole come ‘comunismo’, ‘progresso’, ‘populismo’ in modo del tutto inesatto o superficiale, ma nessuno ci fa caso, siamo ormai assuefatti dalla perdita di valore che si attribuisce alla parola; si parla a vanvera e non si è più in grado di dar voce a molti messaggi proprio perché ignoriamo come poterli trasmetterli. Voci flebili lo denunciano, in pochi se ne accorgono. Oppure a volte parliamo troppo, ma senza censura, in modo disgustoso diamo vita a un circo di surreale disumanità. Tutto quello che ci viene in mente impulsivamente viene comunicato, spesso in modo equivoco e violento.
Non si legge più, soprattutto le nuove generazioni sono inadatte spesso alla concentrazione che richiede la lettura di un breve articolo, figuriamoci di un libro. Eppure la lettura dovrebbe essere il mezzo essenziale per imparare l’uso delle parole che ci servono per pronunciare discorsi sì, ma anche pensieri. Il nostro pensiero è di tipo verbale, solo se conosciamo un buon numero di termini questo sarà profondo ed efficace. In sostanza più parole si conoscono e più siamo intelligenti. Molti sono i termini che descrivono un nostro stato d’animo e le sue motivazioni, eppure non sempre conosciamo quelli che occorrerebbero per decifrarci e per decifrare l’altro. Quanto è vero, più parole conosciamo, più siamo empatici.
In tale contesto è scontata l’importanza della scuola, ma anche il settore culturale può avere un ruolo determinante nel porsi in modo accattivante ai giovani (e anche ai meno giovani).
In questa direzione probabilmente il teatro potrebbe diventare un collante tra le nuove generazioni, abituate ad apprendere più attraverso le immagini che attraverso un testo scritto, uno strumento che attiva l’interesse a ri-educarsi e re-imparare anche attraverso il divertimento e il gioco. Questa responsabilità la potremmo delegare al teatro proprio perché questo è per metà parola, l’attore si nutre del testo per farlo risorgere in un prodotto nuovo. Non bisogna dimenticare che ogni volta che ci sediamo in platea per vedere uno spettacolo dietro c’è il lavoro di uno scrittore, uno di quegli scrittori che molti giovani non vorrebbero leggere sui banchi di scuola, e di cui inconsapevolmente leggono solo qualche aforisma ad affetto sui social network e lo ripropongono in messaggini inviati attraverso Whatsapp o attraverso qualche post su Facebook. Il teatro è un caro insegnante per educare alla comunicazione e all’importanza della parola che viene detta perché in essa si nasconde un mondo di emozioni e di allusioni. La scelta di un termine al posto di un altro stravolge il significato della frase, si dovrebbe riflettere di più su quello che diciamo e su come lo diciamo, perché non solo la sostanza è importante, ma anche la forma; un tocco può diventare una carezza o uno schiaffo. Questo è il lavoro dell’attore.
Dovremmo dare più valore agli spettacoli teatrali e alla loro importanza nell’educazione, perché il teatro – povero, bistrattato e dimenticato in tutte le riforme politiche in ambito culturale – potrebbe rappresentare una valida via di fuga da questa condizione di imbarbarimento.