Il 29 agosto 2018 a Manhattan si è spenta una delle più illustri figure della modern dance: Paul Taylor (1930-2018). La Paul Taylor Dance Company presenta Paul Taylor: Celebrate the Dancemaker al David H. Koch Theater presso il Lincoln Center di New York, dal 29 ottobre al 17 novembre 2019, in omaggio al suo fondatore e alla sua immensa eredità artistica. La stagione è curata dal direttore artistico Michael Novak, e vede alcuni dei più importanti capolavori di Paul Taylor accanto a creazioni originali di coreografi come Kyle Abraham, Pam Tanowitz e Margie Gillis. Ospiti d’eccezione, la prima ballerina dell’American Ballet Theatre Misty Copeland e Michael Trusnovec che riporterà in scena il famoso assolo creato per Paul Taylor da George Balanchine.
Uno dei piaceri nell’ammirare la Paul Taylor Dance Company è la possibilità di osservare il suo eclettismo e la ricchezza del vocabolario fisico. I lavori di Paul Taylor, presentati il 9 novembre 2019, sono stati Dust, Private Domain e Company B. Questi tre pezzi hanno dimostrato il coraggio di Taylor e come il suo linguaggio coreografico degli anni ’70 sia mutato e abbia acquisito nuove sfumature.
Dust, un’opera del 1977, è accompagnata dalle note del Concert Champetre di Francis Poulec. È una danza di dolore, lotta e morte. Una lunga corda annodata e sospesa al soffitto, riempie la parte destra del palcoscenico. Dust inizia come un rito tribale per nove ballerini. Alcuni membri della tribù stanno in piedi sul retro del palco e i loro corpi sono annodati in forme confuse. Altri invece si nascondono in lunghi mantelli neri. I movimenti evocano un senso di disagio specialmente quando i danzatori attraversano il palcoscenico afferrando con una mano una caviglia mentre si strisciano da una parte all’altra dello spazio. Una scena molto forte è quella di un prolungato silenzio, in cui sette ballerini ciechi si fanno strada nello spazio. Si tengono l’uno all’altro cercando invano qualcuno che li salvi, e l’unico elemento che li libera è la musica per clavicembalo di Poulec chiudendo il pezzo con un forte senso di malinconia.
Ancore più audace e drammatico è lo splendido Private Domain (1969), in cui otto ballerini in indumenti intimi si esibiscono dietro quattro ampi pannelli neri sospesi. Come nei dipinti di Alex Katz, creatore della scenografia e dei costumi, non c’è modo di vedere l’intera immagine del palcoscenico. Le immagini ritagliate devono essere completate dalla mente piuttosto che dall’occhio, e la prospettiva dello spettatore verso il palcoscenico determina radicalmente ciò che si vede e ciò che non si vede. Nel contrasto dei movimenti ritagliati dalla scenografia, a volte i danzatori si posizionano tra i pannelli, completamente immobili, provocando un effetto straordinariamente toccante. Accompagnato dalle partiture elettroniche di Iannis Xenakis, allo spettatore è permesso di leggere ed interpretare liberamente ciò succede sulla scena.
Chiude lo spettacolo lo straordinario lavoro Company B (1991). In questo pezzo, da un lato il signor Taylor rende omaggio alle voci delle Andrews Sisters, in particolare alla loro innovativa divulgazione della musica popolare, e allo stesso tempo revisiona totalmente il suo linguaggio coreografico. Il movimento è astratto e assorbe piuttosto che imitare i riferimenti del ‘Lindy hops’ e dello swing. Paul Taylor, in modo sottile, contrasta la visione dell’innocenza, del romanticismo e del patriottismo presenti nella musica e nell’allegria dei ballerini in primo piano con le ombreggianti figure sullo sfondo che rievocano immagini di guerra e perdita. Ed è così che il pezzo sotto una chiave di lettura più profonda, diviene un lavoro sull’anti nostalgia.
“Bei Mir Bist du Schon“, il primo dei 10 segmenti (ognuno dei quali prende il nome da un titolo di una canzone), introduce tutti i ballerini che sprofondano a catene negli schemi della polka, primo dei molti ricorrenti leitmotiv di Company B. “Pennsylvania Polka“, la seconda sezione, ed è eseguita da Kristin Draucker e Michael Apuzzo. Qui la spensieratezza della coppia contrasta con il fregio vivente di uomini di guerra sullo sfondo. Segue “Tico-Tico” genuina testimonianza dell’amore dell’America per i ritmi latinoamericani messo in evidenza grazie superbo assolo di George Smallwood. Il danzatore ‘scompone’ la sua solida struttura muscolare con bruschi e marcati colpi alternando vivaci e atletici movimenti, evocando così un’ironica figura da macho spavaldo. In “Oh Johnny, Oh Johnny, Oh Johnny, Oh!”, le donne inseguono Lee Duveneck come fossero in un cartone animato. In “I Can Dream, Can’t I Can’t I?“, Parisa Khodbeh danza con un partner invisibile mentre dietro di lei, la realtà prende forma: il suo fidanzato è innamorato un altro uomo. In “Boogie Woogie Woogie Bugle Boy (of Company B)“, Robert Kleinendorst esegue un frenetico assolo che a malapena gli permette di toccare il pavimento, fino a quando non cade morto sulla schiena. “Rum e Coca-Cola” simboleggia la prostituzione. Heather McGinley riflette questo tema con l’innocenza di una piccola vamp che manda in estasi i danzatori/soldati ogni volta che solleva una gamba o la gonna. Nella sezione successiva, musica e danza si contrappongono: in “There Will Never Be Another You“, lei dopo una danza estrema, crolla ai suoi piedi e lui resta impassibile. Questo sentimento viene dissipato dagli esuberanti ballerini che riprendono la prima canzone, per poi chiudere il pezzo e svanire nell’ombra del passato.
Paul Taylor ci lascia in eredità più di 140 coreografie, alunni d’eccezione come Pina Bausch e Twyla Tharp e la certezza che la modern dance resta rilevante sino ai giorni d’oggi.
———–
Coreografie di Paul Taylor
Dust
Musica: Francis Poulenc
Costumi e scenografia: Gene Moore
Luci: Jennifer Tipton
***
Private Domain
Musica: Iannis Xenakis
Costumi e luci: Alex Katz
Luci: Jennifer Tipton
***
Company B
Musica: Songs sung delle Andrews Sisters
Costumi: Santo Loquasto
Luci: Jennifer Tipton