S’intitola “Rambert Event” la prodigiosa pièce con la quale la Rambert Dance Company, la più autorevole istituzione di modern dance britannica, ha omaggiato l’indimenticabile Merce Cunningham (1919 – 2009) a dieci anni dalla sua scomparsa. Una mise en scène voluta da Jeannie Steele, ex danzatrice della Merce Cunningham Dance Company, ora al timone del gruppo britannico, che rimescola in un copioso flusso coreografico, gli estratti delle originali coreografie dell’artista americano. Con la preziosa collaborazione di musicisti d’eccezione come il batterista dei Radiohead Philip Selway, Idem Ilhan e Quinta, lo spettacolo è un vero proprio capolavoro di ricostruzione come atto di gratitudine al magistero di Merce Cunningham. Danzatore, coreografo prolifico ed instancabile, sperimentatore e pioniere della ricerca del corpo in movimento in dialogo con le arti multimediali, Merce Cunningham ha attraversato la seconda metà del Novecento rivoluzionando la forma mentis del danzatore, il modus operandi delle tradizionali tecniche compositive aprendo nuove frontiere di ricerca al movimento e al pensiero coreografico. In occasione del decennale della sua scomparsa tutto il mondo ha ricordato il gigante della danza, la cui eredità resta ancora viva ed inesauribile. Rambert Event, ospite della 34esima edizione del Romeuropa Festival, è stato decisamente un trionfo di sintesi artistica.
Nell’allestimento di Gerhard Richter dove una serie di pannelli cangianti, posti ad intervalli regolari come quinte stagliate sul fondo, sguisciano i danzatori, entrando ed uscendo con le inconfondibili corse sceniche cunninghamiane, veloci, scattanti e decise. La mirabile scena di Richter si tinge di campiture cromatiche iridescenti, sulle quali si mimetizzano i corpi rivestiti con le attillate tutine, smagliate di diverse colature di colori. Ambienti sonori rarefatti e vibranti accolgono la danza, trovando in pochi momenti quei piacevoli punti di contatto, spesso tenuti o sfuggiti, perché tutto nella scena è lasciato al caso, all’incontro fortuito delle parti. Così lo spazio si riempie in ogni punto di duetti, terzetti, soli e intrecci volanti nei quali i corpi, di tecnica eccelsa, sfoderano tutta le sintassi cunninghamiana fatta di twist, arch, tilt, tipping, triplet, che rendono i corpi multidirezionali e sincretici, capaci di varcare i confini fisici della cinetica. Tutto sembra facile, in questo scorrere fluido di passi, agganci, prese in volo, dall’humor gioioso e indefesso. Salti, giri, azioni rapide ed ora lente richiamano nei corpi dei danzatori la natura, come il movimento di un insetto, di rane in uno stagno, o i port de bras, con le voluminose circolarità nelle braccia, alludono alle ali di grossi volatili, nel tappeto sonoro che i tre musicisti mettono a punto di volta in volta. Violino, contrabbasso, tastiera e xilofono vengono diversamente suonati e maneggiati dal solito, producendo sonorità delicate ed ipnotiche al contempo, atte a risvegliare visioni ancestrali. Nel puro formalismo della tecnica e nella non narrazione che da sempre sostengono il concept ed il pensiero coreografico di Cunningham, la danza si rivela gloriosa e radiosa tra i corpi, plastici e virtuosi, espressivi ed atletici al contempo, donando allo spettatore non una serata di danza, ma una irripetibile esperienza di danza, così come aveva sempre fatto lo stesso Merce. Scrosci di applausi e standing ovation!