La lingua parlata domina la vita quotidiana: qualunque pensiero si traduce in parola, qualunque oggetto acquisisce una consistenza soltanto nominandolo. Come conseguenza la negazione della parola, in rari ed eccellenti casi, può bastare per suscitare l’ironia e scatenare l’umorismo.
Teresa Bruno, l’interprete del raro ed eccellente Rosa ospitato alla Casa del Teatro Ragazzi e Giovani di Torino, è un clown che non rinuncia del tutto alla parola, o almeno ci prova: ogni suo maldestro tentativo di espressione verbale, tuttavia, rimane su un piano secondario rispetto alla comicità corporale della clownerie.
L’ostinata regressione comunicativa di un personaggio avvezzo alla conversazione con pneumatici e banane produce un’ilarità forse scontata, ma pur sempre inserita nel contesto di dominio quotidiano della lingua; uno spettacolo come Rosa, che di rosa non ha apparentemente niente, trae il suo fascino grottesco proprio dalla negazione di qualunque etichetta verbale e/o linguistica.
Tutto ciò che si avvicenda sul palcoscenico è immediatamente e totalmente riconoscibile; non si necessita per questo di quegli orpelli testuali, quali aggettivi o sostantivi, per apparire “definito” o “concreto” agli occhi della platea.
E quando infine la rosa spinata appare sul palco, rubando i riflettori e giustificando il titolo della rappresentazione, l’elogio alla sua bellezza si fa parola (spagnola) ma il meccanismo non viene smentito: è piuttosto la parola stessa a farsi gesto, simbolo e allegoria. Una parola affatto riconoscibile, anche soltanto perché straniera, quindi orpello superfluo: il meccanismo comico è confermato.
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ROSA
produzione Teatro C’art
di e con Teresa Bruno
regia André Casaca
assistenza alla regia Stefano Marzuoli e Nina Lanzi