Il Rosenkavalier è da sempre fra le opere tedesche più frequentate e, dopo infinite rappresentazioni, non è sempre facile ricrearne l’incanto poetico. Per la nuova produzione dell’Opera di Wiesbaden Nicolas Brieger e il suo team costruiscono un contenitore circolare che racchiude i tre atti della Commedia per Musica della premiata ditta Strauss/von Hofmannsthal. E muovono l’azione dall’originale epoca rococò di Maria Teresa agli anni del primo conflitto mondiale, al tempo in cui il Rosenkavalier andò per la prima volta in scena a Dresda (1911). Quando il sipario si apre un talamo campeggia al centro del palcoscenico. Sulle note appassionate del prologo orchestrale, Ottaviano e la Marescialla amoreggiano con grande trasporto fino allo spuntare del giorno. La scena è elegante e lineare ma, passata la passione amorosa, la recita perde velocità. Durante la toilette mattutina della Marescialla il grande spazio circolare è un po’ ravvivato dai video proiettati sulle tende che racchiudono la scena. Video che alternano lo strazio delle trincee della Grande Guerra ai balli di gala Fin de Siècle. Lo spettacolo riprende brio nel secondo atto, soprattutto grazie alle intemperanze del Barone Ochs di Lerchenau, un dongiovanni grossolano vestito da Karl Lagerfeld, e dei suoi scherani, una masnada che rincorre le cameriere e depreda il bar. Siamo adesso nel palazzo di Faninal, trasformato in un mercante di armamenti, dove spicca un gigantesco mappamondo di bronzo e… un carrarmato dorato in scala 1:1.
Assolutamente kitsch ma visivamente efficace. La beffa finale ai danni dello zotico Barone si svolge in un licenzioso night club, molto più Pigalle che albergo asburgico, comprensivo di gestore en travesti. Accompagnati da effetti speciali, tavolini che camminano e teste di morto che si animano si scivola verso il finale. Terzetto, duetto, sipario. Una messinscena elegante, con un bel colpo d’occhio e i costumi raffinati di Andrea Schmidt-Futterer, ma che difetta di un po’ di verve e da cui non traspare bene la riflessione malinconica sulla fragilità che è al centro dell’opera. Anche il tema conduttore della (Grande) guerra che appare a tratti non è chiarissimo a cosa voglia accennare.
È la recitazione eccellente dei protagonisti che anima lo spettacolo e dona spessore alle figure di questo Rosenkavalier. Nicola Beller Carbone, statuaria ed elegante per voce e gesto, disegna con raffinatezza la traiettoria sentimentale della Marescialla, dall’impeto amoroso iniziale alle malinconiche riflessioni sul tempo che scorre, alla resa finale di una diva sul viale del tramonto. Toccanti i suoi accenti nel famoso monologo sul Tempo (“Die Zeit, die ist ein sonderbares Ding…”). La affiancano i due giovani spasimanti, davvero due adolescenti in questo Rosenkavalier. Silvia Hauer restituisce gli ardori amorosi e marziali di Ottaviano con morbida voce di mezzosoprano, in una parte lunga e difficile che richiede cambiamenti di ruolo non banali.
Il soprano Aleksandra Olczyk presta la sua voce chiara e generosa agli slanci e ai rossori di Sophie. Intenso il duetto finale fra i due giovani. Albert Pesendorfer, chiamato all’ultimo momento a sostituire Karl-Heinz Lehner, si cala alla perfezione nella parte del Barone e diventa presto il padrone della scena, facendo leva sull’accento austriaco e sulla solida voce di basso. Ne esce un casanova da strapazzo, ribaldo e istrionico, assolutamente convincente. Bene anche i comprimari, a cominciare dal baritono Thomas de Vries, che bene si immedesima in Faninal, ricco industriale in doppiopetto. L’orchestra ai comandi di Patrick Lange, Generalmusikdirektor del teatro, stende un tappeto musicale sontuoso nei passaggi sinfonici e preciso nei passaggi solistici che accompagnano la recita. Una partitura così ricca di eleganza che mai ci si stanca di ascoltare.
Alla fine applausi per tutti i protagonisti della serata.
Video della produzione: https://www.staatstheater-wiesbaden.de/programm/spielplan/der-rosenkavalier/5882/