Giunta alla sua quarta edizione, la rassegna “Se io fossi te” – progetto a cura della Compagnia XE diretta da Julie Ann Anzilotti, presso il Teatro Comunale Niccolini a San Casciano Val di Pesa (FI) – si conclude con molteplici e sinergici approfondimenti sul tema Arte e Abilità differenti, e l’interrel-azione tra il concetto di handicap e il sentimento dell’“amore”.
L’iniziativa ha coinvolto artisti e studiosi della materia in ambito nazionale ed internazionale con una proposta qualitativa di spettacoli, tra cui il debutto nazionale dello spettacolo “C’è un tempo” della CompagniaXE e “Marked” della Exim Dance Company del coreografo londinese Adam Benjamin (U.K.). Una giornata di studio aperta al pubblico ha sviluppato le tematiche articolate dai relatori intervenuti.
Interventi
Adam Benjamin, coreografo ed insegnante; Emanuela Cassola Soldati, danza movimento terapeuta e critico di teatro/danza; Patrizia Coletta, direttrice Fondazione Toscana Spettacolo onlus; Anna Consolati, curatrice progetti internazionali danza inclusiva-CID di Rovereto; Carlotta Fonzi, scrittrice e docente di Storia del Cinema; Stefania Guerra Lisi, docente e ideatrice del metodo MusicArTerapia nella Globalità dei Linguaggi; Maura Masini, assessora alle Politiche Culturali Comune San Casciano Val di Pesa e fondatrice Ass.ne A.B.C.; Marta Mantovani e Andrea Carnevale, operatori teatrali e registi Coop. Valle del Sole e Compagnia dei Girasoli; Alessandro Pecini, regista compagnia teatrale Lunatikos; Angela Torriani Evangelisti, danzatrice e coreografa, direttrice artistica di Versiliadanza; Julie Ann Anzilotti, direttrice artistica Compagnia XE; moderatrice Augusta Brettoni, Università di Firenze.
Con quali occhi, con quale “Io” consapevole ci approcciamo al diverso da noi, frutto di un modello di riferimento malato, verso il quale, noi tutti ci sentiamo giusti e normali? Con quale responsabilità morale, civile e con quale diritto le istituzioni in primis si ergono più o meno consapevoli e preparate ad accogliere le molteplici sfumature delle abilità differenti del genere umano?
Per quanto le tematiche scaturite nella giornata di studio possono aver dato conforto a molti interlocutori intervenuti nel sentirsi un po’ meno soli nell’affrontare il disagio e la complessità strutturale di supportare, affiancare e vivere nel quotidiano, il sostegno all’handicap, condividendolo come atto d’amore, in quanto gesto creativo, l’amarezza permane nel riflettere – ancora molto presente – nel terzo millennio, il tentativo empirico di rapportarsi nell’Arte e nel supporto terapeutico in modo sperimentale, ancora vigente sul territorio nazionale italiano.
Ben lontano dai modelli sistematici di riferimento anglosassoni, americani e nord europei, grazie ai quali si sono redatti scientificamente i parametri con cui intervenire con il linguaggio della comunicazione non verbale dell’arte-danza-musica, ponendo un iter formativo professionalizzante ben preciso ed un protocollo per ricevere gli strumenti necessari grazie ai quali è possibile introdurre l’arte dell’improvvisazione e non il contrario.
Il processo dell’improvvisazione nella danza e nel progetto di creazione coreografica si applica sulla consapevolezza di tecniche acquisite e destrutturate per ritrovare il gesto-movimento nella sua funzione primordiale di atto spontaneo, in cui la presa di coscienza degli schemi motori di base determinano l’essenza del movimento autentico. Così come nella musica, ad esempio nel jazz, l’elemento dell’improvvisazione, l’acquisizione dei suoi elementi di base, la ripetizione di una frase musicale si compone in tempo reale. Non è banale o casuale, è un atto consapevole che presagisce preparazione.
1969 Frederic Rzewsky, musicista d’avanguardia elettronica, intervista Steve Lacy, musicista jazz, sul rapporto tra composizione e improvvisazione: “La differenza principale è che, nel comporre, hai tutto il tempo che vuoi per pensare a quello che dirai in pochi secondi, mentre quando improvvisi hai solo pochi secondi per dire ciò che vuoi dire”…tutto ciò non è scontato.
Questa attitudine si ripete, o dovrebbe, nell’approccio con il teatro-testo-parola e l’arte, intesa come grafico pittorica e scultorea, sempre intesi come medium attivi nel processo creativo della rel-azione con le abilità differenti. Ecco perché “Se io fossi te”, come recita il titolo della rassegna, non potremmo calarci nei panni dell’altro con il rischio di incorrere in un processo transferale dei nostri stereotipi mentali, senza esserci prima spogliati dei nostri archetipi, vizi e pre-giudizi.
L’incontro nella giornata di studio ha posto un focus sul come introdurre la produzione artistica di una compagnia di teatro e danza in ambito di circuiti e rassegne internazionali e nazionali sul nostro territorio, mantenendo alto il valore qualitativo del prodotto performativo, senza cadere nel pietismo della performance, argomento di forte interesse da percepire come valore aggiunto in cartellone e al botteghino.
L’esperienza di una danzatrice, Francesca L., dello spettacolo “C’è un tempo”, pesa, marca nel tempo e nello spazio l’esigenza verbale con un suo intervento: …di ripetere ed amplificare queste esperienze teatrali, più spesso perché l’aiutano a non sentirsi “confinata”, ai margini.
Due esempi di valore sono stati presentati nel contesto della rassegna dai coreografi Adam Benjamin anglosassone e Julie Ann Anzilotti italo americana, con le performance “Marked” e “C’è un tempo”.
Alla domanda posta ad ambedue i coreografi: quale è stato l’input creativo da cui si è generata la performance? Queste a seguire sono le loro risposte.
Julie Ann Anzilotti: “Lo spettacolo prende forma ed ispirazione dai temi biblici del Qohelet o Ecclesiaste, in cui si riflette sul tema del tempo. C’è tempo per ogni cosa, anche inanimata apparentemente, un sasso o una pietra, c’è un tempo. Il tempo che scandisce la nostra vita, che scorre naturalmente segnando le tappe della nostra evoluzione. L’elemento del bronzo, per me, rappresenta il segno del tempo che scorre, tradotto scenograficamente dalla opera scultorea del fondale di Monica Sarsini. Ho lavorato sul silenzio e non è stato facile modellare le richieste melodiche frequenti dei danzatori dalle abilità ed esigenze differenti spesso fin troppo musicali. Ho lavorato in sottrazione, aggiungendo solo alcuni input sonori”.
Adam Benjamin: “Il mio lavoro nasce in itinere mentre mi muovo. Mentre salgo le scale del palazzo nel quale mi accingo ad entrare nella sala dove incontrerò i danzatori. Lo spazio, i suoi confini, il perimetro. Ispeziono tutto con l’istinto primordiale di un gatto. Ho un’idea certo, ma lascio che tutto scorra in modo fluido e si possa evolvere in qualche cosa d’altro. In questo caso la performance “Marked”, sperimenta e marca i confini in-es, entro e fuori dai quali essere diversamente abili può fare la differenza. Linee nello spazio per evidenziare, marcare, escludere, includere, per avvicinare ad una migliore e consapevole percezione dei propri confini corporei. Una precisa riflessione sul cosa significa sentirsi “marchiati”.
Non è un caso che la sensibilità di questi due artisti-artigiani coreografi, Benjamin e Anzilotti, spogliandosi di ogni tipo di sovrastruttura spettacolare, abbiano lavorato sui temi essenziali di tempo e spazio, in cui il flusso di tensione flow con il fattore di peso contribuiscono ad analizzare l’impulso del movimento, l’effort/shape, descritto e tradotto in ambiti terapeutici da R.V. Laban, K. Jung, Chodorow, Kestemberg, Bartenieff.