Lo spazio Cango, in una natalizia Firenze, si presenta intimo e caloroso nella semplicità scenografica che caratterizza Danze contro il malocchio, penultimo appuntamento del festival che il centro di produzione Virgilio Sieni ospita in due momenti dell’anno, ottobre-dicembre e marzo-aprile: La democrazia del corpo.
La sala ottocentesca presenta sullo sfondo quattro evocative colonne dallo stile corinzio, e sottolinea immediatamente un’atmosfera dal carattere rituale. Due grandi quadrati bianchi, separati l’uno dall’altro da un sottile corridoio centrale, sono disposti simmetricamente sul pavimento, affiancati, in attesa dei corpi che li abiteranno in breve tempo. Al centro, sul retro della scena, è disposta una batteria, anch’essa in attesa del suo musicista. La luce che accoglie gli spettatori e che illumina la scena è cupa, carica di aspettativa.
I performer, il musicista Michele Rabbia e le due danzatrici Claudia Caldarano e Claudia Catarzi, entrano in scena, dirigendosi ordinatamente verso lo spazio a loro dedicato: il primo alla batteria, e le seconde speculari, ognuna ai lati estremi dei due quadrati, rivolte l’una verso l’altra.
L’inizio dello spettacolo è sancito dal suono amplificato dei gesti di Michele Rabbia, compiuti precisamente e prodotti in maniera tale da costruire lentamente un climax che, in unione con suoni elettronici, permea l’ambiente di un’atmosfera onirica.
Nel corso della costruzione di tale atmosfera, le danzatrici, semplici nei costumi e di bianco vestite, sono immobili, come cariatidi in attesa di ricevere vita. Non appena la musica lascia spazio al venire della danza, si intuisce che il dialogo tra suono e movimento sarà un riferimento imprescindibile per l’intero spettacolo.
Le danzatrici, infatti, compiono anch’esse un percorso di reiterazione e costruzione ascendente, dapprima in unisono, abitando gesti profondamente evocativi in una sequenza cristallina che acquisisce ritmo e dettagli ad ogni ripetizione. La simmetria coreografica e scenografica, quasi clinica nella sua chiarezza, è tuttavia arricchita e diversificata dalle identità così forti e dissimili delle due danzatrici, che come sacerdotesse accompagnano gli occhi dello spettatore in un percorso che svela significati, apre scorci inattesi, sorprende e guida le sensazioni.
Lo spettacolo e la sua costruzione si svolgono fluidi e rituali, operando numerosi incontri e scontri tra i tre interpreti, gli uni con gli altri e a volte persino con se stessi, in un gioco continuo di richiami, attese, respiri, canoni, simmetrie rotte e ritrovate, evocazione di immagini che emergono e si offuscano, come il richiamo sonoro al battito del cuore o quello fisico del superamento di un confine per mezzo dell’accoglienza dell’altro. Tra musica e danza c’è assoluta parità, e anzi l’una contribuisce al potere dell’altra, siano esse in accordo o dissonanza. Nel loro incontro esse srotolano per lo spettatore un filo di Arianna in quello che, nella sua limpidezza eppur estrema complessità, ha le sembianze di un labirinto di vetro.
Le danzatrici stesse, attraverso il loro movimento, producono sul pubblico una forte energia evocativa. Da statue in movimento, diventano animali, si studiano, si ascoltano, combattono a distanza come schermidori, si riavvicinano, cercano un contatto, lo perdono e ritornano nella loro solitudine, imprigionate in una struttura di cui sono padrone, unite ma disgiunte. Calderano e Catarzi dimostrano in questo lungo percorso una qualità di movimento davvero lodevole, grafica e plastica, intrisa di libertà, umanità, capacità di ascolto e una semplicità tale da essere necessariamente figlia di estrema complessità e raffinatezza.
Nella parte finale dello spettacolo la dimensione rituale viene di nuovo sottolineata dall’esperienza fisica che chi scrive ha accostato quasi spontaneamente al greco enthousiasmós, all’invasamento divino che prendeva i corpi delle baccanti, ritrovato nelle cadute verticali, nella disarticolazione fisica e nella nudità rivelata da tale disarticolazione, che lascia spazio a un corpo crudo, profondamente umano e capace di regalare immagini commoventi agli occhi del pubblico, senza essere ammiccante.
Al termine dello spettacolo il sapore che resta al pubblico è senz’altro quello di due anime che si cercano, si rincorrono e si affrontano, lottano nella loro dualità e singolarità, e lasciano che le cose accadano: ritrovamenti, assenze, presenze – senza tuttavia insistere nel cercarle o nel mantenerle.
Il merito di Virgilio Sieni e degli interpreti è dunque quello di aver potuto costruire un’atmosfera in cui lo spettatore può riconoscere il dialogo tra danza e musica e tra gli interpreti stessi, e un ambiente che il pubblico può abitare con gli interpreti stessi, partecipando attivamente al processo rituale e simbolico messo in atto e condotto con magistrale competenza.
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Coreografia Virgilio Sieni
Interpreti Claudia Caldarano, Claudia Catarzi
Musica dal vivo Michele Rabbia (elettronica e percussioni)
Produzione Fondazione Matera-Basilicata 2019, Compagnia Virgilio Sieni