Questa commedia frizzante e colorata, che aveva come titolo originale Chill’è pazzo!, fu scritta da Eduardo De Filippo per Vincenzo Scarpetta, che la mise in scena il 7 aprile 1928 presso il Teatro Manzoni di Roma. Con la regia dello stesso Eduardo fu invece riproposta nel 1932, al Teatro Nuovo di Napoli, con il titolo definitivo Ditegli sempre di sì, con qualche modifica anche nella trama e nella caratterizzazione dei personaggi. Successivamente Eduardo curò un adattamento per la televisione, trasmesso l’8 gennaio 1962 dal Secondo Programma della Rai. Questo testo venne riproposto in seguito sia in Italia che all’estero, tra cui Los Angeles nel 1997.
Al Teatro della Pergola di Firenze Elledieffe – La Compagnia di Teatro di Luca De Filippo, oggi diretta da Carolina Rosi, la ripropone quest’anno in coproduzione con la Fondazione Teatro della Toscana, affidandone la regia a Roberto Andò, al suo primo confronto con il teatro eduardiano, la parte del protagonista Michele Murri all’ispirato Gianfelice Imparato, la sorella Teresa alla stessa Carolina Rosi, assieme ad altri talentuosi attori, come Nicola di Pinto, noto attore caratterista del cinema italiano o Edoardo Sorgente, giovane promessa del cinema e del teatro, per citarne solo alcuni.
“Il tema della pazzia ha sempre offerto spunti comici o farseschi, ma di solito è giocato a rovescio, con un sano che si finge pazzo. Invece, in Ditegli sempre di sì il protagonista è realmente pazzo, il dolore e il senso di minaccia pervadono l’opera. Tra porte che si aprono e si chiudono, equivoci, fraintendimenti, menzogne, illusioni, bovarismi, lo spettatore si ritrova in un clima sospeso tra la surrealtà di Achille Campanile e un Luigi Pirandello finalmente privato della sua filosofia, irresistibilmente proiettato nel pastiche.” (Roberto Andò)
Un teatro quello di Eduardo sempre capace di sorprendere, farci riflettere e rispecchiare con ironia nelle profondità e distorsioni dell’animo umano. Questo testo incentrato sul labile rapporto che sussiste tra follia e cosiddetta normalità, tra il discrimine che intercorre tra salute e malattia mentale si inserisce perfettamente nel senso che Eduardo ha sempre dato al teatro come riflesso vitale della vita. Michele Murri, all’apparenza un personaggio coerente con l’immagine di un uomo medio, in realtà è stato in manicomio per le sue manie e ossessioni, che si traducono in un imperfetto perfezionismo fatto di tic e assurdità. Torna alla vita normale a casa della sorella e la sua presenza scardina le dinamiche della cosiddetta normalità attraverso queste sue patologie. Le sue farsesche letture letterali delle situazioni più metaforiche o delle frasi più allegoriche dette nel contesto della quotidianità, portano a equivoci, imbarazzi, inquietudini, ma allo stesso tempo manifestano com’è fragile la linea interpretativa che confina la norma alla diversità del vivere. La presenza del folle ancora una volta smaschera quelle che sono le convenzioni linguistiche o di comportamento su cui si basa la fede degli altri personaggi nella propria normalità. Un apparente equilibrio che vorrebbe dimenticare quella follia o diversità che invece coinvolge tutti nel proprio intimo.
“La causa di tutti mali dov’è? Nella testa!” (Eduardo De Filippo)
La testa, sede del cosiddetto raziocinio, è la fonte sia delle stranezze di Michele, che della normalità a cui si rimettono confidandovi, anche solo parlando, gli altri personaggi della commedia. La testa è ciò che cerca di tagliare Michele al giovane Don Luigino, attore senza arte né parte e corteggiatore della figlia di Don Giovanni, come a indicare che sia la normalità quanto la follia, la medietà di tutti i giorni come l’estro della creatività artistica hanno origine in questo fulcro insondabile di emozioni e pensieri, linguaggi e comportamenti. Bisogna tagliare le funi che ci legano e vincolano al raziocinio, al più cieco e ossessivo rigore verso la ragione, per potersi riappropriare della propria umanità, sembra dirci nel sotto testo lo stesso Eduardo. Scardinare con un po’ di follia e ironia il monotono e grigio convivere basato sulle sole convenzioni e apparenze. Il folle non solo si rivela come tale in un contesto regolato dalle norme del quieto vivere quotidiano, ma svela la follia stessa che accomuna nel profondo gli esseri umani o comunque la fragilità illusoria che li porta a distinguere nei comportamenti e nelle interpretazioni ciò che mantiene quel certo ordine e ciò che nella differenza del diverso lo turba manifestandone l’arbitrarietà, a volte portando alla luce ciò che resta sepolto nei propri inconfessabili desideri o nelle proprie indicibili paure. Ditegli sempre di sì alla forza soverchiante e illuminante del teatro che sa raccontare come siamo, meglio di come pensiamo di essere nella nostra rassicurante autoillusione. Paradossalmente le maschere inscenate sul palcoscenico del teatro mostrano più chiaramente la sostanza di ciò che vive al di sotto delle convenzioni dell’esistenza di quanto non faccia la vita stessa. Il teatro eduardiano inscena la vita per smascherarla, la dipana nelle sue piccole grandi domande. Lo sguardo lucido e sornione dell’ironia mista a tragedia delle sue commedie penetra lo spettatore, lo conduce dalla realtà letteraria verso la surreale verità della vita, che solo attraverso il teatro e la finzione si mostra senza filtri o erronei pregiudizi, senza accuse o facili sentenze. Una ventata di umanità arriva sempre inattesa dalle scene eduardiane, che ci trasporta con leggerezza dove altrimenti non potremmo mai giungere, per conoscersi attraverso il pianto e soprattutto una risata liberatoria.
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di Eduardo De Filippo con (in ordine di apparizione) Carolina Rosi, Paola Fulciniti, Massimo De Matteo, Edoardo Sorgente, Vincenzo D’Amato, Gianfelice Imparato, Federica Altamura, Andrea Cioffi, Nicola Di Pinto, Viola Forestiero, Boris De Paola, Gianni Cannavacciuolo scene e luci Gianni Carluccio costumi Francesca Livia Sartori aiuto regia Luca Bargagna aiuto scene Sebastiana Di Gesu aiuto costumi Pina Sorrentino regia Roberto Andò produzione Elledieffe – La Compagnia di Teatro di Luca De Filippo, Fondazione Teatro della Toscana foto di scena Lia Pasqualino