Un eccellente cavallo di battaglia dal 1992 di Umberto Orsini (Novara, 1934) che nel 2001 vince il Premio Ubu con Il nipote di Wittgenstein, testo raffinato e pregnante su un’amicizia profonda, vera e sincera tra due persone di grande levatura intellettuale. Tratto dall’omonimo romanzo (in parte racconto di vita vissuta e in parte invenzione) – edito nel 1982 dalla Casa Editrice Adelphi – dello scrittore austriaco Thomas Bernhard che, impegnatosi a pronunciare un’orazione funebre per l’amico Paul Wittgenstein, manca alla promessa trovandosi a Creta nel momento del suo trapasso per cui lo scrive quasi come ‘risarcimento morale’ anche perché nessuno dei pochissimi amici intervenuti al funerale ha pronunciato alcunché.
I due sodali, conosciutisi a Vienna dove nel 1967 sono ricoverati nello stesso ospedale, ma in padiglioni diversi: il narratore per un problema polmonare, per ricorrenti crisi di follia l’amico (nipote del celebre filosofo Ludwig e appartenente all’aristocrazia viennese, ma nell’indigenza per avere profuso quasi tutti i suoi beni nelle sue passioni e per questo sprezzo del denaro allontanato dalla famiglia), scoprono sintonie nella visione della vita, nell’insofferenza verso l’aristocrazia viennese e nella passione per l’arte e la musica classica.
Lo scrittore austriaco è a sua volta persona sensibile e provata dalla vita non facile essendo figlio di una ragazza madre che fugge dall’Austria per evitare lo scandalo e lo affida neonato ai nonni, a 18 anni poi finisce in sanatorio e non conclude il liceo classico.
Il regista Patrick Guinand, innamorato di tale testo che considera il capolavoro dello scrittore austriaco, ne compie anche un adattamento per il teatro incentrato sui sentimenti che Umberto Orsini nella sua intensa interpretazione rende con grande maestria identificandosi con Bernhard (1931-1989) ed entrando nel personaggio a tal punto da dovere fare attenzione a non commuoversi come succede a volte riportando a galla i propri sentimenti profondi.
In effetti si tratta di una recitazione ‘in solitario’ anche se esiste una presenza femminile, forse l’unica che gli è rimasta, una governante (ottima Elisabetta Piccolomini) premurosa nell’aiutarlo nelle piccole azioni del quotidiano, ma che non interviene nel dialogo nell’elegante e accogliente casa borghese in cui Orsini-Bernhard pian piano riporta alla luce i ricordi che disegnano l’amico come un uomo sensibilissimo, inadatto al mondo, quasi un privilegiato dalla follia.
Una recitazione talentuosa tanto coinvolgente che non consente distrazione né cadute di attenzione, ma attrae come un magnete il ferro e resta nella memoria per la forza dei suoi contenuti sempre attuali in quanto trattano delle contraddizioni di tutti noi.