Penelope attende da venti anni il ritorno di Ulisse partito per la guerra mentre i Proci la insidiano. E quando Ulisse davvero ritorna è uno sconosciuto che lei non riconosce. A Francoforte va in scena Pénélope, l’unica opera composta da Gabriel Fauré. Un titolo che appare molto di rado nei cartelloni e che mette al centro la regina di Itaca, figura femminile nobile e vulnerabile.
Per questa seconda produzione scenica tedesca (la prima fu nel 2002 a Chemnitz) l’Opera di Francoforte consegna lo spettacolo alla regista Corinna Tetzel e alla bacchetta di Joana Mallwitz, di recente eletta direttore dell’anno dalla giuria dei critici di Opernwelt e vincitrice anche dello “Oper! Awards” 2019. La regista tedesca attualizza le emozioni di questo materiale epico e disegna un ritratto dell’animo della protagonista. Il racconto di un’attesa e di un ritorno e del loro significato. Rifail Ajdarpasic prepara una scena geometrica e senza orpelli, che ha il pregio di concentrare l’attenzione sui cantanti e sulla musica del poème lyrique di Fauré. Tutto si svolge su una piattaforma quadrata che ricorda certe agorà della classicità mediterranea. Ne esce uno spettacolo di atmosfera, dove tutto si amalgama con precisione: musica, canto e recitazione, essenzialità delle scene. Penelope è il fulcro emotivo dell’azione. Una Penelope emancipata, in tailleur pantalone scuro, che difende la sua regalità dalle insidie degli uomini che la circondano. Intanto tesse il lenzuolo funebre di Laerte posticipando il momento della scelta. E indossa lo stesso sudario sotto gli abiti, quasi uno scudo contro le insidie dei principi e forse anche contro lo scorrere del tempo (belli ed efficaci i costumi di Raphaela Rose). Una Penelope incerta e travagliata, a tratti perfino visionaria, quando predice ai pretendenti il loro sterminio.
Paola Murrihy aderisce perfettamente al personaggio e rimanda con la voce e con il gesto tutte le sfumature che passano nella mente e nell’animo di Penelope dopo lunghi anni d’incertezza. Il mezzosoprano irlandese canta con nobile sofferenza e domina la scena. Il tenore Eric Laporte, Ulisse dalla voce luminosa e sicura anche nei passaggi più alti, è lo sposo che ritorna. Nel lungo duetto del secondo atto, momento centrale della pièce, Penelope e Ulisse si parlano per venti minuti e non si riconoscono. Sono smarriti, sospesi fra presente e passato e con un futuro tutto da disegnare. Negli accenti e negli abbracci riaffiorano antichi legami non sopiti, ma si capisce che la lunga separazione ha lasciato tracce profonde. E alla fine, anche dopo essersi riconosciuti, lasciano la scena separati. Resta il dubbio se l’amore possa sconfiggere il tempo e la distanza. L’orchestra ai comandi di Joana Mallwitz restituisce con esattezza tutte le sfumature della musica di Fauré, sospesa fra novecento e tardo romanticismo. La musica fluisce levigata e lascia spazio alle voci, accentuando la vena liederistica di Fauré. A tratti sembra di ascoltare una grande orchestra da camera che accompagna con delicatezza i moti dell’animo di Penelope e degli altri protagonisti.
Bene anche i comprimari fra cui spiccano il rude Eumeo di Božidar Smiljanić, potente per fisico e voce, e l’accorata Euriclea di Joanna Motulewicz, mezzosoprano ricco di bei colori scuri. Convincenti per arroganza e fastidio i pretendenti, cinque bellimbusti in abito business: Peter Marsh (Antinoüs), Sebastian Geyer (Eurimaque), Ralf Simon (Léodès), Dietrich Volle (Ctésippe) e Danylo Matviienko (Pisandre). Fanno da controparte ai cinque ribaldi le ancelle in giallo, incerte fra l’amoreggiare con gli usurpatori e la fedeltà alla regina: Nina Tarandek (Cléone), Angela Vallone (Mélantho), Bianca Andrew (Alkandre), Julia Moorman (Phylo) e Monika Buczkowska (Lydie)
Qualche vuoto in platea e alla fine applausi convinti per tutti i protagonisti.