La stagione di ballo del Teatro alla Scala apre con Sylvia, balletto di Léo Delibes nella versione di Manuel Legris.
Il titolo è una coproduzione tra la Scala e lo Staatsballet di Vienna di cui Legris è direttore da nove anni, ed è il risultato della buona intesa con Frédéric Olivieri oltre che dell’intenso lavoro a fianco del Corpo di Ballo del Piermarini.
Il titolo venne originariamente danzato nel 1876 a Palais Garnier con il Corpo di Ballo dell’Opera di Parigi e con coreografia di Louis Merante, e questa fu la prima di tante versioni a cui si ispira Legris. La sua Sylvia, infatti, è un tributo alla tradizione della danza classica francese: la coreografia è elegante e fiera, impreziosita di virtuosismi che ne esaltano la bellezza; il soggetto mitologico è snellito e la trama scorre piacevole senza perdersi negli intricati dettagli di cui abbonda la vicenda.
Punto di partenza è il brano ‘Aminta’ di Torquato Tasso, rielaborato per valorizzare l’espressione di sentimenti e passioni dei protagonisti, mirabilmente dispiegati nelle interpretazioni del primo cast di scaligeri che abbiamo ammirato nella recita pomeridiana del 29 dicembre.
Una delle più importanti novità della versione di Legris è l’introduzione del prologo, funzionale a mostrare il conflitto interiore di Diana, tanto nostalgica dell’amore per Endimione quanto obbligata a imporre il voto di castità alle sue ninfe. Il dilemma trova esplicazione in un breve ma intenso pas de deux, mirabilmente interpretato da Maria Celeste Losa e Gabriele Corrado.
La danza viene interrotta dall’apparizione di Sylvia, la prima ballerina Martina Arduino, bella e imperiosa fin dal suo primo ingresso in scena. Arduino è una Sylvia non succube al volere di Diana, ma una donna intelligente e fiera che da fredda guerriera si trasforma grazie alla forza dell’amore. La sua tecnica è impeccabile, i movimenti sono vigorosi ma hanno la leggerezza di un respiro: la danza di Arduino è un vero piacere per gli occhi, in particolar modo il pizzicato del terzo atto, intessuto sulla musica come un ricamo.
Claudio Coviello veste i panni di Aminta, il pastore che cerca di coronare il suo sogno d’amore con la ninfa di Diana. Pienamente a suo agio anche nei passaggi più impegnativi, Coviello colpisce per la musicalità e il nitore della sua danza. Particolarmente d’effetto è l’adagio di apertura, in cui il pastore prega Eros per far innamorare Sylvia – una vera perla di lirismo. Nonostante Aminta sia un semplice pastore, Coviello porta in scena un principe per nobiltà tanto d’animo quanto di portamento. La partnership con Arduino, su cui tenevamo gli occhi puntati, funziona e supera la sfida a pieni voti.
Eros è un altro personaggio centrale, responsabile dell’amore tra Sylvia e Aminta. Nicola Del Freo è perfetto nel ruolo, divino sotto ogni aspetto come confermano le variazioni e i pas de deux del terzo atto.
In opposizione ai sentimenti sinceri di Aminta e alla regalità di Eros, Orione è simbolo di impeto e virilità maschile. È il cattivo che brama Sylvia e che la rapisce portandola nella sua grotta (sarà poi Eros a condurla in salvo). Christian Fagetti brilla nel ruolo: è agguerrito e vigoroso e palesa tutto il suo temperamento in manèges, pirouéttes ed ottime elevazioni.
Accanto ai ruoli solistici spicca il Corpo di Ballo, perché in Sylvia c’è spazio anche per bellissimi momenti d’insieme, popolati da cacciatrici, ninfe, fauni e contadini.
Scene e costumi di Luisa Spinatelli offrono set onirico alla vicenda; ciliegina sulla torta è la bellissima partitura di Léo Delibes, interpretata alla perfezione dalla bacchetta del Maestro Kevin Rhodes.
Applausi meritati per tutti e repliche in scena fino al 14 gennaio.
La recensione si riferisce alla recita pomeridiana di domenica 29 dicembre.
Letizia Cantù