Capossela sbarca al Verdi per il suo nuovo tour che toccherà 18 teatri italiani. Sold out per la tappa fiorentina – seconda e ultima della Toscana dopo Montecatini – delle sue Ballate per uomini e bestie, prodotto da La Cùpa e distribuito da Warner Music. Per usare le parole dello stesso cantautore, è «un cantico per tutte le creature, per la molteplicità, per la frattura tra le specie e tra uomo e natura». Una combinazione tra la lirica solenne del cantico e la popolarità delle ballate, un incontro tra due Francesco, il santo di Assisi e il Landino, compositore di ballate nella Firenze medievale. E al Medioevo si approda, ma al momento opportuno, in questo viaggio sull’arca di Capossela alla scoperta della fauna che popola il mondo, con coscienza o meno, ognuno col suo fardello di peccati – prima di tutto civili.
Si salpa dalle grotte preistoriche dove l’uomo inizia a dare forma alle sue paure, disegnando le bestie, feroci compagne e coinquiline sulla terra. “Uro” rompe il ghiaccio del concerto come del nuovo album, l’undicesimo di Capossela, col quale ha vinto la Targa Tenco 2019. E poi il bestiario continua con lupi mannari, capri, giraffe e porci. E cristi e sirene e santi e marajà.
Sull’arca di Capossela non si sale in coppia, si viaggia da soli e tutti insieme, uomini e bestie, lottando insieme per salvare ognuno sé stesso. Ciascun brano un copricapo, una maschera da metter su per distinguersi dagli altri, rappresentando, in fondo, tutti, la stessa vittima. Martiri della natura, del mondo, della nostra bestiale umanità. L’uomo: l’unico animale che sa ridere e ragionare, e dunque provare un dolore cosciente.
La voce calda di Capossela intona note impietose in un’opera «che guarda alle pestilenze del nostro presente travolto dalla corruzione del linguaggio, dal neoliberismo, dalla violenza e dal saccheggio della natura». Un linguaggio antico, universale, che piomba nelle crisi dell’oggi con una potenza rinnovata. Deforma lo spensierato uccellino azzurro di Twitter, allungandolo e incurvandolo fino a trasformarlo nel cupo becco di un medico della peste, che da sempre confondiamo con l’untore, incapaci come siamo di distinguere chi porta il male da chi lo allontana. Un dialogo continuo tra le crisi del passato e quelle del presente, in una “Danza macabra” che coinvolge Dante Alighieri, Oscar Wilde e John Keats, ma anche Tiziana Cantone, Stefano Cucchi e Liliana Segre. Una galleria di ritratti a cui pensare e ispirarsi, storie vissute o raccontate che delineano il nostro essere umani.
Sull’arca insieme a Capossela remano Alessandro Asso Stefana alle chitarre, Niccolò Fornabaio alla batteria, Andrea La Macchia al contrabbasso, Raffaele Tiseo al violino e Giovannangelo De Gennaro alla viella e agli aulofoni. L’atmosfera medievale coinvolge anche gli strumenti, quando appare un meraviglioso organistrum. Il teatro si muove sul moto ondoso del viaggio, al ritmo di morbide liriche malinconiche alternate a ballate incalzanti, passando per la febbrile taranta del “Ballo di San Vito” per cui il pubblico non riesce a restare seduto.
«Se proprio dobbiamo lasciarci, che sia lentamente»: il concerto si chiude col brano finale dell’album, “La lumaca”, che accompagna lo spettatore sulla terraferma, pigramente, sbadigliando in faccia al crudo mondo, cantato con semplicità feroce, ma fino a quel momento ovattato nel velluto di un sipario.
Il teatro, luogo di purificazione fin dalla sua fondazione, accoglie Vinicio Capossela come ospite gradito, cantastorie eclettico che fonde – come solo i grandi sanno fare – la nobile arte della musica con una scelta mirata e rigorosa delle parole che le sue note cullano.