Arsenico e vecchi merletti è una commedia teatrale scritta da Joseph Kesselring, nota per l’adattamento cinematografico di Frank Capra del 1944, con Cary Grant, in un periodo di conflitto mondiale in cui i newyorkesi cercavano un po’ di intrattenimento per distogliere la mente dalla guerra.
L’azione si svolge nella tranquilla casa di Brooklyn delle arzille vecchiette Abby (Giulia Lazzarini) e Martha Brewster (Annamaria Guarnieri) le quali dietro una facciata mite e filantropica nascondono una follia omicida, mascherata da compassione caritatevole, facendo passare a miglior vita vecchi scapoli solitari in cerca di ospitalità.
Quando il nipote Mortimer fa visita alle sue zie anziane per informarle che sta per sposarsi, scopre che le sue placide ma bizzarre parenti avvelenano i loro coinquilini con il rosolio corretto all’arsenico con l’aiuto di suo fratello, Teddy, uno schizofrenico che suona la tromba e dà la carica credendo di essere il presidente degli Stati Uniti e che lo scantinato di casa sia il campo di battaglia di Waterloo, e non la fossa comune dove le sorelle nascondono le loro vittime.
A completare lo stravagante quadro di famiglia c’è un terzo nipote evaso dal manicomio criminale che arriva, come Frankenstein, con un cadavere in braccio accompagnato da un pseudo-chirurgo plastico, deciso a rifugiarsi dalle zie. Qui pianifica di eliminare il povero Mortimer il critico teatrale che, pur non essendo un modello di sanità mentale, perlomeno ha un senso di moralità con cui pone fine a questi molteplici omicidi seriali.
La raffinata regia di Geppy Gleijeses, ispirata allo spettacolo di Mario Monicelli andato in scena nel 1992, è un’illustrazione divertente della commedia classica che, con umorismo, drammaticità e suspense, si affida a due signore della scena teatrale italiana. Sono loro, insieme complici e timorose nei loro crimini a rendere straordinariamente credibile il gioco teatrale delle vecchine eccentriche con il vizietto dell’omicidio seriale che riescono sempre ad apparire adorabili e soavi.
Le due protagoniste sono ben affiancate da Paolo Romano, nel ruolo di Mortimer, abile nel passare dallo stupore all’azione, dallo sconcerto totale all’empatia verso le zie, esibendo un ampio repertorio di espressioni facciali, una più divertente dell’altra.
A tutto ciò si aggiunga la convincente e acutamente ponderata interpretazione di Luigi Tabita nei panni dell’inquietante Jonathan Brewster e tutta una serie di citazioni meta-teatrali (Il fantasma di Canterville e Strindberg), che rivelano tutta la profondità di tematiche esistenziali all’interno di un contesto familiare apparentemente frivolo e stravagante.