C’è tempo fino al 21 febbraio 2020 per godersi la spassosa Zauberflöte alla Komische Oper di Berlino, spettacolo natovi nel 2012. Große Oper in forma di Singspiel, susseguirsi di parti cantate e recitativi in prosa, viene proposta da Barrie Kosky e Suzanne Andrade in una forma inusuale che ne ha decretato un successo mondiale, visto in varie parti del globo da più di 450.000 persone e arrivato anche a Roma nel 2017.
Kosky dichiara apertamente di non stravedere per il titolo, avendolo visto più volte da piccolo ed provando una sorta di timore per il peso registico che si porta dietro. Lo scopo era creare un prodotto che puntasse a un’alta dose di intrattenimento e alla semplicità di fruizione, in grado di stupire sia gli adulti che i più piccoli. L’ansia è sparita nel momento in cui Kosky ha conosciuto “1927”, gruppo composto da Suzanne Andrade e Paul Barritt e dedito a forme di spettacolo che mischiano animazione, teatro, cabaret e musica. La caratteristica di questa veste, che farà storcere il naso ai soliti “puristi dell’opera tradizionale”, è l’interazione tra cantanti e disegni animati, proiettati su una parete bianca da cui escono e scompaiono i personaggi. Le immagini sono studiate in modo che gli interpreti debbano eseguire precisi movimenti in sincronia con esse, pena l’andare fuori tempo e far perdere il senso alle animazioni, disegnate con tratti marcati e linee nette.
Numerose sono le citazioni dell’epoca aurea del cinema muto e all’Espressionismo tedesco, grazie anche ai costumi di Esther Bialas. Papageno ha le fattezze di Buster Keaton, Monostatos di Nosferatu e Pamina della celebre Louise Brooks. Sarastro e i suoi accoliti sembrano usciti dal Cabinet des Dr. Caligari, abitanti di un mondo popolato da animali meccanici e robot antichi. Astrifiammante è un gigantesco ragno nero dalle cui zampe si cerca di scappare e le dame, qui chiamate Frau Tratsch, Frau Klatsch, Frau Schwatz, tre ricche signore dai colli di pelliccia. Felici sono alcune trovate come le gag del gatto nero che segue Papageno, i lupi che ballano in guêpière, la sfera di cristallo dentro la quale Pamina canta “Ach, ich fühl’s”, gli elefanti rosa che ricordano quelli psichedelici di Dumbo. Quando suonano i due oggetti magici, ossia il flauto e il glockenspiel, appaiono sullo schermo rispettivamente un folletto che sprizza una pioggia di note e tante bamboline acefale. Tutto funziona con leggerezza e fantasia, divertendo lo spettatore in maniera intelligente.
Pare interessante notare come venga a mancare proprio la parola così come nel cinema muto manca il sonoro. Il dramaturg Ulrich Lenz sostituisce i recitativi parlati con didascalie giganti, accompagnate dall’Hammerklavier sulle note delle Fantasie KV 475 e KV 397 come se si trattasse, Kosky dixit, “di un film muto di Mozart”. Ciò toglie unità all’azione se pensiamo al fare opera classico, ma qui siamo di fronte a qualcosa di nuovo e curioso, all’unione di ben tre arti: teatro, musica e cinema.
Ainãrs Rubiķis, alla guida dell’Orchestra della Komische Oper, descrive un Flauto garbato, giovanile, privo di asperità e dai colori decisi. La narrazione scorre fluida, rispettosa dei tempi del gioco teatrale, il suono non sovrasta mai le voci dei cantanti e le agogiche donano tridimensionalità all’azione.
Il cast si distingue per un livello esecutivo generale molto alto, dimostrandosi pienamente a suo agio. La Pamina di Amanda Forsythe ha l’autenticità di una vera diva del muto, capace di piani sublimi, dotata d’ottimo fraseggio e intonazione stabilissima. Jussi Myllys veste i panni di un Tamino elegante, dalla voce fluida nell’emissione, sicura negli acuti e nelle dinamiche. Riscuote ampio successo l’algida Regina della Notte di Aleksandra Olczyk, corretta nelle colorature e nei sovracuti richiesti dalla partitura. Nel doppio ruolo di Sarastro e Oratore c’è Tijl Faveyts, voce dal bel timbro pulito, ricca di accenti ieratici e maestosi. Evan Hughes non si lascia prendere dal rischio di strafare, come capita spesso ai colleghi, rivestendo con carisma e tenerezza la parte di Papageno, il personaggio chiave di questo allestimento, colui che smuove i meccanismi dell’ironia. Debole in volume la Papagena di Georgina Melville, allieva degli Opernstudios della Komische Oper, mentre Ivan Turšić è Monostatos dalla linea di canto perfetta. Menzione d’onore per le tre dame – Mirka Wagner, Karolina Gumos, Caren van Oijen – e i tre fanciulli – August Zohm, Valentin Piller, Christoph Schönacher, solisti dei Tölzer Knabenchores.
Puntuali gli interventi del coro preparato da David Cavelius.
Teatro pieno di pubblico di ogni età alla 166esima replica l’11 gennaio 2020, tra cui anche numerosi bambini, segno che la musica sa ancora essere mezzo di scoperta e crescita.