«La follia è tanto superiore alla sapienza in quanto la prima viene dagli dei, la seconda dagli uomini» (Platone)
Sempre più frequentemente si mettono in scena non opere scritte per il teatro, ma sceneggiature tratte da film o da romanzi, forse per dare un’impronta più personale e più attuale ai testi o per far conoscere opere letterarie anche a chi non legge.
Per l’adattamento teatrale di questo Don Chisciotte Francesco Niccolini si ispira ovviamente al romanzo di Miguel de Cervantes Saavedra, ma focalizza la sua lettura sul carattere dei personaggi, dalla follia del visionario sognatore Don Chisciotte alla concretezza di Sancho Panza, un contadino ignorante attaccato al denaro ma capace di sognare. Don Chisciotte è un uomo colto sulla cinquantina che, leggendo romanzi cavallereschi e poemi eroici, si è costruito un suo mondo distante dalla sua contemporaneità, con la convinzione e la determinazione di poter resuscitare il passato glorioso della cavalleria errante. In questo suo bizzarro progetto non può essere solo, perciò convince un contadino del posto, Sancho Panza, a diventare suo scudiero con la promessa di nominarlo governatore di un’isola.
Il camaleontico Alessio Boni entra col corpo e con la mente nei panni del cavaliere errante, capelli biondi ricci alti sulla fronte, armatura senza pretese (casacca bianca e calzamaglia rosa un po’ logora, gambali e accessori vari), maestoso in groppa al suo Ronzinante rotea la spada alla conquista del mondo, in preda alla follia si rotola a terra, recita tra le nuvole o appeso ad una corda, sbarra gli occhi verso il vuoto, si pone all’ascolto di rumori sospetti e in lontananza vede e sente eserciti di guerrieri arabi da sbaragliare, ma in realtà sono greggi di pecore belanti, lotta contro i mulini a vento scambiandoli per giganti dalle braccia rotanti, si figura un mondo incantato, dove compare una duchessa con gorgiera, capelli rossi ricci e vede Sancho sul trono della sua isola. Inveisce contro la chiesa nemica della cultura e attacca la processione di incappucciati in bianco con una statua sacra sopra una barella. Dà in escandescenze quando si accorge che gli hanno bruciato tutti i romanzi cavallereschi, colpevoli, secondo gli altri, del suo vaneggiare. La recitazione è per tutti piuttosto tesa a volte gutturale e di tono alto, per esprimere la rabbia, la forza, la determinazione.
Un’eclettica Serra Yilmaz, attrice turca, interpreta il fedele e fiducioso scudiero Sancho Panza, umilmente vestito con pinocchietti larghi, casaccone scuro, pesante gilè e un cappellaccio a larghe falde sopra capelli blu cortissimi, che trascina camminando un asino di stoffa dentro cui è infilata.
Bassotta, grassotta, teatralmente fotogenica, ha accento straniero e usa verbi all’infinito, è una donna che dà credibilità e comicità a questo personaggio maschile al di fuori degli schemi.
Due donne affiancano idealmente o realmente i due girovaghi, la fantomatica nobildonna Dulcinea del Toboso, alias la contadina Aldonza Lorenzo, alla quale Don Chisciotte dedica le sue imprese e l’irosa moglie di Sancho che sbuca ogni tanto da dietro le quinte, come l’uccellino dell’orologio a cucù, ringhiando e latrando, come Cerbero, in dialetto calabrese.
Il terzo magnifico protagonista è Ronzinante, il cavallo di cartapesta dalle sembianze naturali, manovrato dal coraggioso Nicolò Diana, nascosto sotto la pancia, ma con le gambe ben visibili, che si porta sul groppone Don Chisciotte (sali, scendi, cammina) per tutto lo spettacolo.
Una trovata magistrale.
Con la drammaturgia di Roberto Aldorasi, Alessio Boni, Marcello Prayer e dello stesso Francesco Niccolini, il cavaliere errante da quasi un anno è in giro per i teatri d’Italia con una compagnia di specialisti, formata da Alessio Boni, Serra Ylmaz, Marcello Prayer, Francesco Meoni, Pietro Faiella, Liliana Massari, Elena Nico, Nicolò Diana.
La regia, condivisa tra Alessio Boni, Roberto Aldorasi e Marcello Prayer, opta per una presentazione a quadri narrativi con cambi a vista o con abbassamento delle luci. Pennellate di sarcasmo e d’ironia, ma anche presenze inquietanti come la classica morte con la falce, il malato agonizzante sul letto e voci fuori campo che recitano le litanie fanno da zoccolo duro della consapevolezza, dalla quale si stacca la geniale follia di Don Chisciotte.
Trovate sceniche geniali come il chiarore rossastro della pira dei libri visibile da uno squarcio del sipario semichiuso, o la grande pala di un mulino che compare davvero in palcoscenico nella lotta contro i mulini a vento, voci fuori campo, effetti scenici, tagli di luce, l’uso del controluce arricchiscono la scenografia minimalista di Massimo Troncanetti. La scena più illuminata avrebbe permesso una miglior visibilità delle espressioni dei visi.
Costumi maschili e femminili d’epoca con copricapo a cuffia di Francesco Esposito, luci di Davide Scognamiglio, musiche di Francesco Forni.
Un lavoro d’équipe ben condiviso che ha prodotto uno spettacolo interessante e coinvolgente.
Nel programma sarebbe opportuno scrivere il nome del personaggio a fianco dell’interprete, come si fa per l’opera lirica.