Tommaso Sacchi, classe 1983, è assessore alla Cultura, alla Moda e al Design del Comune di Firenze. È nato a Milano e ha passato la maggior parte della sua vita a curare, dirigere, scrivere, insegnare, fondare progetti culturali in Italia e nel mondo. Si definisce uomo di cultura prestato alla politica. Ha ritagliato del tempo per rispondere alle mie domande tra la conferenza stampa di France Odeon, il festival che ha portato una selezione dei migliori film di Cannes a Firenze, e un incontro con Stefano Accorsi.
Sei assessore alla Cultura da meno di un anno, ma non si può certo dire che tu sia nuovo a Palazzo Vecchio, dopo cinque anni in cui hai affiancato Dario Nardella come capo della segreteria culturale e curatore dell’Estate Fiorentina.
Aver lavorato per la città affiancando il sindaco è stata per me un’occasione straordinaria per entrare in un contatto intimo con il tessuto produttivo del mondo culturale fiorentino, che gode di una grande ricchezza: il doppio binario su cui si muove. Da un lato il mondo indipendente, associativo, del terzo settore culturale e dall’altro le grandi istituzioni. Essere il referente di questo mondo, rappresentare un’interfaccia diretta di programmazione, ideazione, formazione e messa a sistema del fittissimo calendario di iniziative mi ha permesso di conoscere questo doppio binario così solido e diversificato nei vari ambiti della produzione culturale. È stato l’avvio ideale, se non addirittura propedeutico a quello che è ora il mio percorso da assessore.
Cos’è cambiato?
Ovviamente assumo un’identità politica, una dimensione amministrativa diversa, seppur assolutamente in continuità col ruolo precedente: non sono solo un’interfaccia ma anche un riferimento politico decisionale all’interno del ventaglio di assessori che insieme al sindaco governano la città. Questo lo faccio tenendo fede e dando molto valore al mio background di figura culturale: non arrivo dall’attivismo politico, ma dal mondo dell’organizzazione, della curatela e dell’ideazione artistica, ho lavoro con alcune delle più grandi istituzioni europee della cultura, dalle biennali ai grandi teatri di Milano.
Firenze è prima città in Europa per creatività e cultura secondo il Cultural and Creative Cities Monitor: qualcuno potrebbe dire «facile, è Firenze!». È una vittoria scontata?
È un risultato che mi onora molto e mi fa sentire la responsabilità di rappresentare le politiche culturali della prima città in classifica. Ma non è un risultato scontato, perché questo nuovo indicatore della commissione europea monitora tutte le città creative – la nostra categoria è quella delle large cities – secondo criteri specifici: non la quantità di beni culturali ma la vivacità culturale, «cultural vibrancy» come la chiama il dossier che ci ha attribuito il primo posto. Si tratta di aver lavorato insieme a organizzatori, produttori di cultura, associazioni, istituzioni, grandi musei, in un’ottica non solo di valorizzazione e conservazione del patrimonio, ma anche e soprattutto di rilancio sulle pratiche del contemporaneo, di ribalta dei nuovi linguaggi artistici. Se misurassimo il rapporto tra patrimonio culturale di Firenze e dimensione della città, probabilmente arriveremmo primi anche in quella classifica, ma è una caratteristica endemica – che pure è un grande valore: ecco, in questo caso sarebbe vincere facile. La cultural vibrancy che ha decretato il nostro primo posto è un’altra cosa: aver scommesso sui festival anche di lungo corso, come quello dei Popoli o Fabbrica Europa; il circo contemporaneo alle Cascine; i più di mille eventi di ogni Estate Fiorentina, diventata un festival di sei mesi, quintuplicato negli spazi e nei numeri; aver lavorato con Palazzo Strozzi per portare a Firenze i più grandi protagonisti dell’arte contemporanea, da Marina Abramović a Bill Viola ad Ai Weiwei. L’aver agito, insomma, questa ribalta del contemporaneo nel doppio protagonismo dei grandi nomi della scena internazionale e delle associazioni fiorentine.
Firenze non è grande, eppure gli spazi culturali sono tanti e l’obiettivo sembra quello di aumentarne sempre più il numero. L’amministrazione gioca all’attacco: cultura chiama cultura?
Sicuramente sì, credo che la politica culturale in una città come Firenze debba svilupparsi anche con un margine di rischio. Rischiare non è un brutto verbo per la politica, anzi sono le operazioni più ambiziose che ci permettono di raggiungere successi importanti come il primo posto del Cultural and Creative Cities Monitor. Un altro risultato ancora più interessante è quello di aver aperto una media di 3/4 spazi culturali all’anno nella scorsa legislatura: 17 spazi di cultura ridati alla città in un momento in cui purtroppo in tante città d’Europa vediamo chiudere un cinema, un centro di socialità, un teatro. Ecco noi abbiamo lavorato in controtendenza e lo reputo un grande orgoglio. Si è ridato centralità al riutilizzo creativo degli spazi, con una gamma molto varia di interventi: ci sono holding internazionali, come la nuova proprietà di Manifattura Tabacchi, che scommettono insieme all’amministrazione su un grande recupero immobiliare attraverso la produzione culturale. Ci sono privati che restituiscono spazi alla cittadinanza attraverso un importante investimento. C’è il caso del Teatro Niccolini, dove un proprietario privato ha agito per ridare vita al più antico teatro di Firenze, un gioiello dell’architettura e della storia culturale cittadina, che abbiamo annesso alla Fondazione Teatro della Toscana. L’amministrazione ha investito risorse per la riqualifica del museo Novecento – come fece a suo tempo per le Murate, l’esempio più citato nei convegni di tutta Italia come grande recupero di un’area ex carceraria oggi ridata all’utilizzo culturale e abitativo – rilanciandolo, negli ultimi tre anni, grazie all’apertura di nuovi spazi espositivi. Ecco lì abbiamo investito noi, ampliando con i fondi del bilancio pubblico la possibilità di esporre mostre temporanee. Come ultimo esempio cito un’operazione che ha ridato protagonismo alle associazioni e alle fondazioni indipendenti della città: la compagnia Virgilio Sieni che si è presa con coraggio la responsabilità di riqualificare la Palazzina dell’Indiano alle Cascine. O, rimanendo al parco delle Cascine, che mi premeva avesse una forte vocazione culturale, Fabbrica Europa all’ex Fabbri. Questi sono cinque esempi con una tipologia di investimenti e di responsabilità diversa, ma tutti con una forte regia del comune.
Sei stato nominato presidente della Fondazione Teatro della Toscana. Quali sono i tuoi progetti?
L’incarico, che si somma al ruolo di assessore, mi onora moltissimo perché la Pergola, il più antico teatro all’italiana, è stato un po’ il padre del teatro moderno in Italia. Rappresenta uno dei pochi teatri riconosciuti di interesse nazionale e, nel mio precedente ruolo, ho seguito molto da vicino l’inserimento nella categoria ministeriale. Uno dei grandi valori dei teatri che presiedo è questa natura consortile, quest’idea di cucire più luoghi della Toscana: Pontedera (Teatro Era), Firenze (Pergola e Niccolini) e Scandicci (Teatro Studio Mila Pieralli). In questa natura sta la capacità di lavorare in più sale su numerosi fronti per i quali, nel mio ruolo di indirizzo e rappresentanza dell’istituzione teatro, mi impegnerò.
Quali?
Il primo forse mi sta più a cuore di tutti: ritenere il Teatro della Toscana una porta d’Europa, un luogo di residenze internazionali, coproduzioni con i grandi teatri europei, ospitalità dei protagonisti del teatro contemporaneo, per marcare questa fortissima identità europea nel segno di una nuova narrativa che parta dalla città delle arti e dal protagonismo del suo teatro. Per questo, appena nominato presidente, mi sono impegnato a siglare, insieme al direttore Marco Giorgetti, la carta Firenze-Parigi con Emmanuel Demarcy-Mota, direttore del Théâtre de la Ville di Parigi. La carta ci impegna a strutturare un rapporto tra Italia e Francia di coproduzione, di stimolo, di iniziative comuni. Questo passa anche attraverso il secondo fronte, quello della didattica teatrale: Firenze svilupperà progetti come la scuola dell’Oltrarno, diretta in questi anni da Pierfrancesco Favino, e i Nuovi, dedicato alle nuove generazioni di figure nel mondo del teatro. È un progetto pilota che ha permesso alle nuove generazioni di gestire il teatro nella sua filiera più complessa: abbiamo affidato loro il Teatro Niccolini, dall’ideare gli spettacoli fino a calcarne la scena. Anche in questo caso abbiamo rischiato, perché si tratta di figure per certi aspetti acerbe, ma che d’altro canto hanno molto da raccontare e tanta voglia di fare. Credo che se non si investe nelle nuove generazioni, dando fiducia a nuovi attori, scenografi, operatori, si compia un errore che pagheremo in futuro. Terzo, il ruolo del teatro in città: la Pergola deve essere un motore che, solido della fiducia e dell’attenzione di ministero, Comune, Città Metropolitana, Regione e soci fondatori, aiuti tutta la città a raccontarsi e a ospitare grandi protagonisti: quest’anno avremo Glauco Mari, Giulio Scarpati, Gabriele Lavia che ha inaugurato la stagione e tanti altri.
Quindi nuove leve sul palcoscenico, ma come attirare le nuove generazioni in platea?
Con accessi sempre più facilitati a chi sta studiando, spesso non lavora, e va invogliato sia con politiche di prezzi molto calmierati, sia attraverso una comunicazione efficiente, che arrivi alla pancia e alla testa. Lo stiamo facendo: c’è un progetto, anche grazie alla Fondazione Cassa di Risparmio, Il Teatro? Bella Storia! che con un biglietto limitatissimo nel costo tiene insieme tante produzioni tra le più importanti in città, dai concerti alle prime teatrali della Pergola. I teatri fanno spesso prezzi agevolati per i giovani; la Pergola ha introdotto la Young Card, che permette di acquistare biglietti meno cari e di usufruire di altre agevolazioni.
Non solo Pergola: a Rifredi hai fatto la tua prima uscita pubblica da presidente della FTT, mentre il Puccini è diventato di proprietà comunale
Acquisire la proprietà del Puccini è stato un traguardo importante: come assessore alla cultura sento molto il legame con una sala che ha fatto la storia nel campo del teatro contemporaneo, della comicità e della sperimentazione, calcato dalle figure più capaci di raccontare un pezzo del paese e della sua storia. Rifredi lega centro e periferia: è un teatro nel quartiere, ma non di quartiere. Penso che la Pergola – e lo dico da presidente della fondazione – debba supportare le altre realtà, avere la capacità, con la sua autorevolezza, di diffondere energia positive in tutta la città. Non che teatri come Rifredi abbiano bisogno di sostegno dal punto di vista dei numeri o del cartellone: è una sala che ha ospitato grandi produzioni internazionali (Sergio Blanco, Serra Yilmaz, gli Yllana…) e rappresenta un esempio di come possa essere gestito un teatro non centrale, ma centrale nella geografia culturale della città. Il Puccini e Rifredi sono due gemme nella costellazione di luoghi e di sale che ci permettono di dire che Firenze è città di teatro.