È ancora nel cartellone del Café Müller questo spettacolo, piccolo gioiello che in tanti abbiamo apprezzato nel penultimo giorno dell’anno (lunedì 30 dicembre). Sì, siamo nel periodo natalizio, vicini alle feste di Capodanno e forse predisposti più che in altri momenti a spettacoli divertenti e coinvolgenti. Ma qui c’era poesia pura e mi torna alla mente una definizione data ai clown: “sono i veri poeti della vita, coloro che la mettono in pratica quotidianamente”. La sala è arredata come al solito, cioè vuota a parte un piccola impalcatura che sostiene un tendone rosso, ma sul soffitto troneggia un grande e luccicante lampadario che crea un’atmosfera da ‘Salone delle feste’, penso alle feste di fine anno e inevitabilmente a “Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa. Scopriremo che non è solo decorativo.
Un uomo ed una donna, in questo caso Igor Sellem e Julia Moa Caprez, iniziano come Clown bianco ed Augusto, cioè il classico connubio fra chi conduce e chi segue, tra il capo ed il sottoposto e via di seguito nelle varie categorie che conosciamo e bazzichiamo quotidianamente. Ognuno di noi è, ogni giorno, sia l’uno che l’altro. Ovviamente facciamo il tifo per chi perde, per l’ultimo, per chi non sa. È un aspetto importante questo tornare bambini, questo rivalutare gli altri e noi stessi, questo cercare di non prenderci troppo sul serio. Basta psicoanalisi, le risate del pubblico erano genuine e non si distinguevano quelle degli adulti da quelli dei piccoli, che erano molti anche se in minoranza.
In scena i rapporti fra i due clown-acrobati-musicisti cambiavano continuamente come cambiavano i luoghi dove ci portavano, le storie che ci raccontavano e ciò che intravedevamo nei loro giochi. E tutto senza parole, o pochissime ed in francese. Usavano soprattutto suoni, esclamazioni, risate, versi, insomma un linguaggio universale che si comprendeva benissimo. Come ho già scritto, lo spazio del Müller è ideale per creare vicinanza con gli artisti e questa volta, oltre alle solite sedie, avevamo a disposizione una serie di panche messe ad anfiteatro greco, che convergevano nel centro. Sembrava davvero di essere in un circo e noi eravamo nelle loro mani. Tutti eravamo rapiti, innamorati di queste due figure quasi surreali ed eseguivamo tutto ciò che ci veniva richiesto senza pensarci troppo su. Davamo il ritmo con il battito delle mani, cantavamo ninne-nanne, li seguivamo nei loro viaggi anche in fondo al mare. Insomma la loro bravura e loro capacità di coinvolgerci era tale che, forse, se ci avessero chiesto di seguirli in strada senza cappotti, ci saremmo andati. O almeno io e i bimbi che erano davanti a me l’avremmo fatto.
Avevano due casse, più o meno ingombranti e con queste hanno creato il loro mondo, e hanno permesso a noi di affacciarci in modo quasi abusivo, come affacciati dietro ad una tenda trasparente. Ottimi musicisti, eccellenti acrobati, grandi compagni di gioco. Abbiamo applaudito molto e alla fine siamo rimasti lì, forse sperando in un improbabile bis o forse che ci portassero con loro.
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Di e con Igor Sellem et Julia Moa Caprez
Tecnica: Sacha Pinget, Florian Euvrard
Produzione: Les Rois Vagabonds
Sostenuto da: Région Franche Comté, Département du Jura, Commune de Chaux des Crotenay
Residenza: Théâtre Montansier Versailles, G.A.E.C. Aux P’tits Bonheurs, La vache qui rue, La caille qui rit
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Noi siamo musicisti, acrobati, mimi, ma è il pubblico che ci rende clown. La nostra passione per la musica classica ci ha fornito il pretesto per andare in scena: un concerto. La semplicità di questo pretesto permette di liberare l’immaginazione. Tutto allora diventa possibile, l’intelletto può lasciare il posto all’emozione.
I clown che siamo non smettono di far cadere la cosiddetta “quarta parete”. Nella scrittura stessa del nostro spettacolo, il pubblico è presente come guida, motore di alcune nostre azioni. A volte si dice che il clown danzi con il pubblico… ogni sera si crea una nuova storia d’amore con gli spettatori come un invito a riconoscere nell’altro il riflesso di noi stessi.
Les Rois Vagabonds