Autore: Rafael Spregelburd
Attori: Rebecca Rossetti, Agnese Mercati, Federico Palumeri, Jurij Ferrini
Regia: Jurij Ferrini
Luici e suono: Gian Andrea Francescutti
Produzione esecutiva: Wilma Sciutto
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In questa fortunata pièce del 2006 di Rafael Spregelburd che ha debuttato in Italia nel 2011 dopo aver ricevuto nello stesso anno il Premio Ubu come nuovo testo straniero, l’autore argentino esplora il problema della conoscibilità e rappresentabilità del mondo e di se stessi attraverso la virtuale caduta e conseguente mescolanza del confine tra realtà e sogno. Spregelburd ha dichiarato che le sue opere possono essere meglio comprese nel nostro paese, per le affinità socioculturali e politiche, e in effetti questa pièce ben si inserisce nella nostra tradizione teatrale riallacciandosi all’Eduardo de Le voci di dentro per la capacità di declinare l’onirismo in chiave grottesca e al Pirandello dei Sei personaggi in cerca d’autore e di Non si sa come per l’insondabilità del dramma interiore che ha dolorosamente compromesso i legami affettivi e familiari.
La vicenda di Lucido si svolge su due piani: quello “reale” del ritorno a casa dopo quindici anni di assenza della giovane Lucrezia, bisognosa di denaro per le cure del marito gravemente malato, e quella del “sogno lucido” di Luca, fratello minore di Lucrezia, che, su consiglio dell’analista gestaltico, si esercita ad intervenire coscientemente all’interno di uno dei propri sogni ricorrenti, quello di un’uscita al ristorante in occasione del suo compleanno, fatta da lui, la madre Teté con cui vive, e la sorella, la cui apparizione onirica conserva la sua attuale età anagrafica nonostante egli non la veda fin dall’infanzia. Luca cerca di imparare da tale sogno, in cui l’idealizzazione di una ritrovata armonia familiare è destinata ogni volta ad infrangersi per l’irriguardosa e mortificante condotta di Teté, e al tempo stesso di dominarlo per opporsi al proprio destino angoscioso, segnato, all’età di dieci anni, dal suo rifiuto della dialisi e dal conseguente trapianto di rene donatogli dalla sorella tredicenne, che pur avendogli salvato la vita, ha causato la disgregazione della famiglia tra abbandoni (del padre che si è rifatto una vita in Patagonia con un’altra donna), divisioni (tra la famiglia d’origine e Lucrezia, mai più rientrata a casa dopo essere stata ricoverata in un’ospedale specializzato a Miami), fraintendimenti e incomprensioni (tra Lucrezia e Teté che occulta a Luca le lettere inviatele dalla sorella e travisa gran parte delle notizie che la figlia le fornisce sulla propria vita; tra Teté e Luca uniti da un rapporto di dipendenza e insofferenza reciproca). L’”evento primario” del ritorno alla vita di Luca (da bambino già votatosi alla morte dopo essersi eternato in un glorioso goal durante una partita di calcio), grazie al sacrificio di Lucrezia, in una condizione di dissoluzione della personalità e dei legami familiari, è il punto nodale, misterioso, attorno a cui ruotano tutti i personaggi che transitano, senza soluzione di continuità, tra la dimensione reale e quella onirica, compreso Dario, il nuovo compagno di Teté che somiglia “stranamente” al cameriere (dal nome, non casuale, di Dario, chiamato anche Daro) del Ristorante la Pierrade dove convengono i tre protagonisti per festeggiare il compleanno.
Jurij Ferrini si è accostato al fondo traumatico del vissuto dei personaggi, motore sotterraneo dell’azione drammaturgica, rispettandone la natura tragicomica, mantenendo l’equilibrio, nell’interpretazione dei tre personaggi della scombinata famiglia, tra melodrammatica affettività e prosaica conflittualità. L’anti-eroismo dei personaggi è stato reso dal disegno registico con leggerezza, riconducendo i diversi livelli della vicenda, il “reale” e l’onirico, su un medesimo piano di quotidianità, lasciando così che le loro incomprensioni e i loro errori , spesso comici e umoristici, acquistassero solo indirettamente una valenza simbolico-filosofica, attraverso una forma di sottile straniamento. La semplicità della scena fissa contraddistinta da una parete disadorna e da qualche scarno arredo di scena (un tavolo, qualche sedia e una poltrona con accanto un comodino su cui campeggia una vecchia abat-jour) a contrassegnare la povertà dell’abitazione, ha contributo al complessivo effetto di apparente “abbassamento” e semplificazione del genere spettacolare (Ferrini nelle note di regia definisce il plot di Lucido “da telenovela eccessiva, storta, deformata”) i cui risvolti evocativi ed inquietanti rimangono sottotraccia, come testimoniato dalla cornice priva di immagine appesa alla parete, segno al contempo di indigenza e di un vuoto “di senso” che necessita di essere colmato non solo dai confusi personaggi che si agitano sulla scena.
Rebecca Rossetti ha accentuato nel carattere di Teté i tratti di sciatteria e sprovvedutezza, restituendo l’immagine di una donna quasi sempre in balia delle proprie passioni mentre Agnese Mercati ha sottolineato l’aspetto volitivo della personalità di Lucrezia senza trascurarne i cedimenti patetici. Federico Palumeri è riuscito a rendere nel migliore dei modi il sofferto disorientamento del giovane Luca, insieme alla lucida determinazione a riscattarsi dall’infelicità della propria condizione esistenziale, riuscendo infine, grazie anche al sostegno di Lucrezia, ad emanciparsi dalla sudditanza alla figura materna. Jurij Ferrini ha dato ai due personaggi del cameriere e dell’imprenditore, distinti dal punto di vista della tipologia sociale, analoghi tratti caratteriali di bonomia, arrendevolezza e arguzia sorniona, inserendosi con modi delicati e ironici nel concitato ménage familiare.