testo e regia Lucia Calamaro
con Alfredo Angelici, Cecilia Di Giuli, Simona Senzacqua, Francesco Spaziani
luci Gianni Staropoli
scene e costumi Lucia Calamaro
assistente alla regia Diego Maiello
disegno dell’angelo Luca Privitera
produzione Teatro Stabile dell’Umbria, Teatro Metastasio di Prato
in collaborazione con Dialoghi – Residenze delle arti performative a Villa Manin 2018-2019
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Al Teatro Fabbricone di Prato va in scena la suggestiva opera di Lucia Calamaro “Nostalgia di Dio. Dove la meta è l’inizio”, che ripercorre l’itinerario della vita a ritroso fino alla nostra infanzia, alla ricerca degli affetti più veri, che in sé racchiudono l’essenza di Dio.
Veniamo catapultati nella vita di quattro personaggi, Francesco, Alfredo, Cecilia e Simona, che in un giorno di quotidiana normalità vengono attanagliati da dubbi esistenziali ed affettivi che li porta a confrontarsi e a scontrarsi tra di loro in uno scambio di battute a tratti esilaranti e a tratti appassionati ed intensi.
Ciò che colpisce dello spettacolo infatti non è tanto la scenografia, in realtà scarna, dotata di quei pochi elementi a sostegno dell’azione degli attori, ma sono proprio i dialoghi brillanti, divertenti e coinvolgenti, e i monologhi più profondi e introspettivi, dettagliati nella narrazione, che nascondono l’intento della regista Lucia Calamaro di far emergere nello spettatore le stesse emozioni, gli stessi dubbi, le stesse paure umane della solitudine e stuzzicare quell’innata ricerca di verità e di felicità che lei suggerisce trovarsi nel calore dei primordi della nostra infanzia, quando eravamo troppo piccoli per farci domande e per chiederci se eravamo davvero felici. Ed è in questo contesto che appare chiara la figura chiave di Francesco, interpretato da Francesco Spaziani, un adulto bambino che vive con intensità le sue emozioni, esprimendole apertamente, senza filtri proprio come un bambino che non comprende i limiti degli adulti.
Interessante la scelta dei personaggi, che rappresentano i principali protagonisti della società contemporanea: un prete, una coppia separata e un’atea. Gli attori, che tengo a citare, Alfredo Angelici, Cecilia Di Giuli, Simona Senzacqua e Francesco Spaziani, hanno interpretato in modo perfetto i quattro protagonisti. I dialoghi apparivano spontanei, senza alcuna forzatura; i movimenti, le espressioni e gli sguardi, calibrati sapientemente, raccontavano la vita complicata dei quattro personaggi, trasformandoli in un impeccabile specchio della nostra quotidianità.
L’intento dell’opera è forse quello di soffermarsi sul significato di onnipotenza, espressa comunemente nell’immagine di Dio, ma che appare realizzabile in un neonato la cui esistenza è un potenziale di possibilità.
Una piccola curiosità sullo spettacolo è la scelta dei nomi dei personaggi che sono gli stessi degli attori, a ribadire forse il fatto che tutta l’opera vuole inserirsi nella nostra realtà e renderci partecipi di questa nostalgia di un Dio bambino.