con Glauco Mauri e Roberto Sturno
di: William Shakespeare
traduzione ed adattamento di: Andrea Baracco e Glauco Mauri
e con: Linda Gennari, Aurora Peres, Emilia Scarpati Fanetti, Francesco Sferrazza Papa, Aleph Viola, Dario Cantarelli, Enzo Curcurù, Laurence Mazzoni, Paolo Lorimer, Francesco Martucci
regia: Andrea Baracco
scene e costumi: Marta Crisolini Malatesta
musiche: Giacomo Vezzani, Riccardo Vanja
luci: Umile Vainieri
produzione: Compagnia Mauri Sturno – Fondazione Teatro della Toscana
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KING LEAR: una scritta cubitale campeggia sulla scenografia, per restituire – all’opera e al pubblico – l’idea di questa personalità debordante, irrefrenabile, che stritola chiunque gli stia attorno.
Un dramma che si muove in diversi spazi e luoghi, interni ed esterni, momenti nella tempesta e situazioni domestiche, personaggi che vagano nella brughiera, racchiudendo il tutto in uno spazio prettamente simbolico, in cui attraverso la meccanicità e l’azione degli attori o l’apparizione di diversi elementi si possa dare vita via via a luoghi estremamente diversi. L’efficacia drammatica di quest’opera risiede soprattutto nella forza espressiva dei personaggi: la pazzia di Lear che domina tutta la parte centrale del dramma coincide con la tempesta e con lo sconvolgimento della natura; il temporale diviene proiezione a livello cosmico della follia umana di Lear, e d’altra parte tale follia è a sua volta manifestazione di quello sconvolgimento.
La direzione artistica di Andrea Baracco, un regista dalle idee fresche e nuove, insiste molto sul “paesaggio” di cattiveria ed ipocrisia che circonda il re e sull’immensa metafora rappresentata da questa vicenda: “Ci siamo appoggiati ad un elemento ferroso della scenografia per rimandare alla barbarie ed alla violenza insite nell’opera, qualcosa che al contempo fosse anche luccicante (una luce nascosta che la rende affascinante), quale simbolo della situazione di pericolo in cui si trovano inevitabilmente tutti i personaggi”.
Nell’adattamento Mauri – Baracco si sottolinea così la grandezza del personaggio Lear, non dal punto di vista politico, ma facendo emergere il suo aspetto poetico, la sua grande capacità di “sentire”. E non potrebbe essere altrimenti quando la voce, il volto, le espressioni e la presenza scenica del protagonista sono interpretate da una delle colonne portanti del teatro italiano, Glauco Mauri: “Mi sono sempre sentito non all’altezza ad interpretare quel sublime crogiolo di umanità che è il personaggio di Lear. In questa mia difficile impresa mi accompagna la convinzione che per tentare di interpretare Lear non servono tanto le eventuali doti tecniche maturate nel tempo quanto la grande ricchezza umana che gli anni mi hanno regalato nel loro, a volte faticoso, cammino. Oggi mi sento più ricco di umanità; è un po’ come se il tuo sentire venisse arato dalla poesia e reso più fertile il terreno, per le sfumature dei grandi personaggi. Non è un atto di presunzione: il teatro deve e può servire la vita e sento una meravigliosa responsabilità di esserne interprete”.
E così Glauco Mauri e il cast di attori al suo seguito ci donano la poesia di Shakespeare attraverso la loro voce, sensibilità e tecnica.
Si fa particolarmente notare Francesco Ferrazza Papa (che avevamo già incontrato alla Pergola nella stagione scorsa nel “John Gabriel Borkman” di Gabriele Lavia): il suo Edgar/Tom è ingenuo, irriverente, energico e commovente, un personaggio drammatico e d’impatto, ma anche positivo e coraggioso che spicca sopra gli altri. Si “veste” di una finta follia, al contrario di quella di Lear, che è un profondo abisso, specchio del suo disordine interiore ed esteriore. Forse l’unico personaggio che cresce nel corso della pièce; ne esce fortificato, anche se caratterizzato da una grande malinconia e tristezza.
Questa follia dilagante, divina, che mescola verissime intuizioni sulla vita a baluginii di visioni, è uno dei temi principali di questa nera tragedia shakespeariana; in realtà lucidissima e lungimirante è lo stratagemma perfetto per la negazione della realtà, dei sentimenti, della responsabilità, della forza, dell’amore, della giustizia.
“Padri indegni che hanno generato figli inetti, madri assenti, estromesse dal dramma, la fragilità è tutta e solo maschile. Nessuno dei personaggi è in grado di regnare, di assumersi l’onere del potere, nessuno sembra avere la statura adatta, nessuna testa ha la dimensione giusta per la corona, chi per eccesso, vedi Lear, chi per difetto vedi tutti gli altri. Solo giganti o nani in questo universo dipinto da Shakespeare.
I tormenti di Lear, di Gloucester, i turbamenti di Edgar, i desideri di Edmund, i tremori e i terrori delle tre figlie del Re, Cordelia, Goneril e Regan, attraggono da sempre perché la complessità e in alcuni casi la violenza che produce il conflitto generazionale è per forza di cose universale” (Andrea Baracco).
I testi che vengono portati in scena aiutano a pensare, ad affrontare i grandi problemi della vita.
Il teatro deve essere una fucina di interrogativi, non di verità, perché offre al pubblico emozioni precluse alla loro quotidianità, ed insegna sempre qualcosa sulla vita, o almeno questo è ciò che Glauco Mauri si augura di trasmettere alle nuove generazioni, immaginando i giovani studenti liceali presenti in sala e le passioni che li smuovono.
Lo spettacolo è in prima nazionale fino al 19 gennaio al Teatro della Pergola di Firenze e poi sarà al Teatro Eliseo di Roma dal 21 gennaio al 2 febbraio.
Giovedì 16 gennaio, presso il Teatro della Pergola, è previsto un incontro con il pubblico alle ore 18.00.
Ingresso libero.