La Compagnia Teatrino Giullare di Sasso Marconi (BO), attiva in Italia e altrettanto impegnata in tournée internazionali in ben 35 paesi del mondo, torna in Campania, dopo lunghi anni di assenza, a Salerno presso il Teatro Ghirelli il 22 e il 23 gennaio 2020 con due spettacoli “Finale di partita” di Samuel Beckett e “Alla meta” di Thomas Bernhard.
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FINALE DI PARTITA andato in scena al Teatro Ghirelli di Salerno il 22 gennaio 2020
di Samuel Beckett
diretto e interpretato da Giulia dell’Ongaro, Enrico Deotti
traduzione Carlo Fruttero
scenografia e pedine Cicuska
maschere Fratelli De Marchi
Riconoscimenti:
PREMIO SPECIALE UBU 2006
PREMIO NAZIONALE DELLA CRITICA 2006
PREMIO DELLA GIURIA AL 47^ FESTIVAL
INTERNAZIONALE MESS DI SARAJEVO 2007
Allestimento da scacchiera per pedine e due giocatori.
Una partita a scacchi tra attori-giocatori che muovono le pedine e pedine-personaggi che muovono una delle storie più significative ed enigmatiche della drammaturgia del Novecento.
La rappresentazione è una sinfonia di mosse e contromosse, botte e risposte, pause, riflessioni, sospiri, rinunce.
Ritmo cadenzato, sonorità scandite con mani e piedi. Luci fioche quasi in penombra per mettere a fuoco solo il centro del palco dove su un tavolino aspetta una scacchiera. I giocatori avanzano ai lati con passi pesanti, arrivano accanto alle sedie, le spostano, si siedono, si avvicinano e inizia il gioco.
Hamm pedina ferma e cieca, Clov pedina che si affanna per la scacchiera senza potersi mai sedere, anche lui sulla strada della cecità e dell’immobilità e nel tentativo di prendere la strada verso l’uscita. Nagg e Nell pedine fuori gioco, pedine a metà rinchiuse in bidoni.
Molte pause nel dialogo, movimenti preceduti e seguiti da tonfi e rumori, quasi un codice Morse, ad enfatizzare una comunicazione dove la distanza è tracciabile risalendo al telegrafo, antico precursore del linguaggio che corre nell’etere.
Parola, pausa. Movimento, rumore.
Non è mero snaturare o svuotare di significato ma volontà manifesta di addentrarsi in un diverso recinto alla ricerca di un linguaggio altro.
Tutto è nuovo per chi si inerpica per un sentiero dove non era mai passato. Poco importa se altri lo avevano già percorso.
Nulla c’è di nuovo sotto il sole, ma cambiando gli occhiali si può vedere in modo diverso.
Pedine, pupazzetti, piccolissime creature che non hanno vita propria ma devono essere necessariamente mosse da mani umane.
Si vede? Non si vede il movimento ma si sa, si intuisce che c’è. Così come mille cose nella vita e nel mondo: non si vedono ma anche se si vedessero si potrebbe far finta di non vederle.
Siamo tutti nella scacchiera. Siamo tutti manovrati, compiacenti o meno, cavie in un labirinto sotto osservazione.
Vecchi genitori nel cestino-bidone della spazzatura da poter chiudere quando si vuole.
Profetico Beckett che ha saputo prevedere la fine che avrebbero fatto i genitori come categoria di vecchi quando si ritiene che non servano più!
Per fortuna non è sempre così! O almeno anche se ci si lamenta di loro, non si arriva a buttarli, ma spesso solo a dimenticarli o a lasciarli in qualche posto lontano…
Bravi gli attori.
Allestimento dove il grigio con tutte le sue sfumature si accende di colore allo svelamento degli attori. Via la maschera! I volti sorridenti, soddisfatti accolgono con comprensibile soddisfazione gli applausi calorosi e convinti. Brillano gli occhi degli attori quando gli spettatori gridano: “Bravi!”
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ALLA META di Thomas Bernhard andato in scena al Teatro Ghirelli di Salerno il 23 gennaio 2020
costruito, diretto e interpretato da Giulia dell’Ongaro, Enrico Deotti
traduzione Eugenio Bernardi
con il sostegno di Comune di Bologna, Provincia di Bologna, Regione Emilia-Romagna
Riconoscimenti:
PROGETTO PREMIO SPECIALE UBU
“Qui tutto si muove in modo innaturale che è poi la cosa più naturale del mondo.” Thomas Bernhard
La scena, centrale sul palco, sceglie come fondale un appendiabiti pieno zeppo di vestiti, giacche e mantelli. Interessante la colorazione, sfumature monocromatiche che fanno il paio col baule e le figure che recitano. Non si comprende subito quale sia il manichino e quale l’attrice, bravissima nel suo monologo interrotto a tratti dalle risposte della figlia e dalle intromissioni dell’ospite, invitato dalla madre ma non gradito dalla stessa. Parla della sua vita la donna seduta, dell’incontro con quello che diventerà suo marito, della Fonderia, della casa al mare, dei motivi per cui lo ha sposato, del figlio deforme, della figlia ritardata, della meta che si prefigge ogni anno e dell’angosciosa incombenza del fare le valigie per partire e per disfarle per ritornare.
Lamentarsi in una spirale senza fine della propria esistenza, che forse potrebbe essere diversa, ma che diversa non è. La fonderia e la casa al mare sono gli elementi che sulla bilancia della decisione hanno pesato di più. Il carattere autoritario viene rafforzato dalla poltrona di comando che si muove a scatti, trascinando la figlia automatizzata in una danza metodica e monotona senza via d’uscita. Cattiveria esacerbata, ironia sagace velata da maschera e cappello, (o forse trucco? non si vede bene) nell’ampio cappotto che nel movimento scopre gambe belle e giovani, desiderose di muoversi in un balletto macabro e sprezzante, per sfuggire alla staticità, ma tutto si muove per rimanere fermo.
Il testo è anche un divertente dissacratorio racconto dell’ambiente del teatro, nei suoi diversissimi protagonisti. Gli autori, gli attori e non ultimi gli spettatori, accusati di applaudire a tutto e a tutti, indistintamente senza criterio di scelta e di gusto.
Originale messa in scena, ben giocata, si avvale della incisiva abilità dell’attrice, protagonista assoluta dello spettacolo, anche se ben spalleggiata dall’attore-autore-personaggio che riesce ad evidenziare il suo ruolo pur fondendosi nella cromaticità sfumata della scena.
Applausi convinti.