L’“Arlecchino servitore di due padroni” di Carlo Goldoni nell’allestimento del suo regista Valerio Binasco al Creberg di Bergamo è una commedia moderna ed antica allo stesso tempo, e nella quale il suo protagonista (Natalino Balasso) rifugge dalle responsabilità che gli derivano, facendosi forza, semplicemente, sulla banalità degli equivoci che innesca, volta per volta sulla scena, perché per Arlecchino, importante è innanzitutto mangiare e dunque vivere. Una commedia che fonda sugli equivoci dunque, nel personaggio interpretato mirabilmente da Balasso, il nodo di una storia già di suo intricata. Arlecchino solo in questo modo riesce a difendersi ed ad individuare una soluzione alla sua condizione personale nella società in cui vive. La bugia come mezzo di riscatto sociale per un uomo come lui che, bizzarro, disordinato e, pertanto, buffone diventa lo strumento per “sopravvivere” in una società nella quale continua tuttavia a subire, nonostante tutto. In quasi due ore e mezza di spettacolo – alla quarta replica nel teatro bergamasco – si riscopre un’umanità forse tenuta ai margini contrassegnata da situazioni che suscitano più volte il riso ed il sorriso nel pubblico che assiste allo spettacolo, ma che emerge prorompente nel finale quando è lo stesso Arlecchino a chiedere direttamente il perdono ai suoi “due padroni” per tutto il casino che ha prodotto. Ecco dunque che l’umanità, dei suoi due padroni, sia pure con le comprensibili arrabbiature, riesce ad avere il sopravvento in un ambiente di cui di solito i forti diventano più forti e i deboli sempre più deboli. Tutto inizia quando Clarice (Elena Gigliotti) figlia del borghese Pantalone (Michele Di Mauro) deve ufficialmente e frettolosamente fidanzarsi con Silvio (Matteo Cremon) col quale convolare a nozze, giacché il promesso sposo, tale Federigo Raspini, e del quale si han poche notizie, era morto in circostanze poco chiare. Silvio, personaggio tonto ed innamorato pazzamente di Clarice è il figlio del dottore (Fabrizio Contri). La storia naturalmente si complica nel momento in cui, a cose fatte, compare sulla scena quello stesso Raspini dato per morto che con grande sorpresa dei presenti alla scena del fidanzamento, intriga la vicenda mandando tutto all’aria, un Raspini interpretato “forzatamente” da Beatrice (Elisabetta Mazzullo), che giunge da Torino a Venezia per “ritrovare” l’amore perduto di Florindo (Gianmaria Martini) e che può farlo soltanto sotto mentite spoglie; oltretutto Raspini era veramente morto. Da qui l’amicizia che nasce tra Clarice e Beatrice in cui proprio quest’ultima, nel rivelare la sua identità, racconta a Clarice tutta la verità, a condizione che mantenga il segreto che non dovrà essere, per nessuna ragione, disvelato ad alcuno. La commedia da qui è tutta una girandola di scene mozzafiato che fanno trepidare lo spettatore, tra un equivoco ed un altro, qualcuno nato per caso (quando papà Pantalone vede contenti ed abbracciati sua figlia con Raspini-Beatrice), altri creati ad hoc da Arlecchino di cui emblematica diventa la scena dei bagagli di Beatrice e Florindo da smistare ai rispettivi padroni nella quale senza rendersene conto – come sempre del resto – Arlecchino mettendo gli effetti personali dell’uno nella valigia dell’altro estremizza il suo tentativo di non rivelare la verità. Verità che, in un certo senso, quasi per un chiaro volere del destino, s’appurerà, naturalmente, soltanto alla fine della commedia laddove soltanto la suspense la farà da “padrona”.