Tra i classici intramontabili della narrativa mondiale una delle prime posizioni spetta sicuramente a Don Chisciotte, un evergreen della letteratura spagnola che scritto nel XVII secolo e rimasto un caposaldo della letteratura per diversi motivi. Don Chisciotte, infatti, ha cavalcato i secoli insieme al suo fedele Ronzinante, cavallo malmesso ma pronto a seguirlo in tutte le sue avventure, così come Sancho Panza, fedele servitore che, ammaliato da promesse di terre da conquistare, accetta di seguire il protagonista nelle sue avventure di cavaliere errante alla ricerca di una dama, Dulcinea del Toboso: «Lucidate le armi, fatta del morione una celata, dato il nome al ronzino e confermato il proprio, si persuase che non gli mancava altro se non una dama di cui dichiararsi innamorato. Un cavaliere errante senza amore è come un albero spoglio di fronde e privo di frutti, è come un corpo senz’anima, andava dicendo a sé stesso».
Tante sono le rappresentazioni di quest’opera e tante le chiavi di lettura per metterla in scena. Sicuramente il Don Chisciotte interpretato da un convincente Alessio Boni per la regia di Francesco Niccolini, andato in scena al Teatro Duse di Bologna, ha prediletto, fra tutte, la chiave ironica, rendendo giustizia a quella vena comica che è uno dei perni narrativi del testo di Miguel de Cervantes.
Una pièce che convince per diversi motivi, fra tutti le scelte registiche, a partire dai piani narrativi che si compongono e scompongono sul palcoscenico creando dei quadri quasi cinematografici. Attraverso delle tende lo spazio viene suddiviso in tanti quadri quanti sono gli accadimenti, rendendo scorrevole il racconto e sempre sorprendente, perché dietro ogni tenda si apre un mondo inaspettato. Interessante la suddivisione netta del mondo reale da quello della fantasia, del sogno e del coraggio di vivere le proprie avventure. Quando la narrazione si avvicina al proscenio diventa evidente il senso di realtà, di oppressione dei doveri, dei compiti da svolgere, di ciò che gli altri si aspettano dai protagonisti. Man mano che il discorso si sposta nell’onirico, nell’assurdo, nel mondo dei sogni e della possibilità, nonostante tutto, di realizzarli, il racconto si sposta verso il fondo del palco e più tende vengono aperte per arrivarci, perché non è facile inseguire i propri sogni e per farlo tanti sono i substrati sociali e di paure che si devono rimuovere.
Tra le tante idee originali della pièce la più azzeccata e di forte impatto visivo è il bizzarro Ronzinante, un cavallo meccanico abilmente costruito e mosso da Nicolò Diana che riesce a dare, grazie anche alla parte flessibile del collo e della testa, vita a un vero e proprio personaggio rendendolo non solo estremamente realistico ma dandogli vita con ironia e dolcezza nell’affiancare le prodi imprese di Don Chisciotte. Il cavallo appare regale e maestoso se paragonato all’asinello che trasporta l’altro protagonista della storia, Sancho Panza interpretato da Sierra Yilmaz che ha messo in scena un aiutante davvero esilarante, comico nella sua semplicità, pragmaticità, indolenza.
Il rapporto tra i due protagonisti è efficacemente costruito sui contrasti caratteriali dei personaggi: da una parte Alessio Boni che interpreta un Don Chisciotte impostato, con la voce profonda e le sue convinzioni radicate nel cuore e nelle sue azioni, dall’altra parte Sierra Ylmaz porta in scena un Sancho Panza molto espressivo, grazie alle capacità mimiche dall’attrice, comico nella sua semplicità e naturalezza.
Seppur la scelta stilistica è ricaduta su un linguaggio più moderno condito solo in alcuni momenti con le parole originali dell’opera, quelle più dense di poesia e significato, il racconto non ha perso la vena poetica di Cervantes e nemmeno la sfumatura onirica e immaginifica che porta un uomo a vivere la realtà come fosse un sogno, rendendolo estremamente autentico nella sua follia, proprio come fu scritto in uno degli epitaffi a lui dedicato: “Giace qui l’hidalgo forte/che i più forti superò,/e che pure nella morte/la sua vita trionfò./Fu del mondo, ad ogni tratto,/lo spavento e la paura;/fu per lui la gran ventura/morir savio e viver matto.”