I tormenti di un amore non corrisposto e di una passione ormai irrealizzabile sono al centro del tormentato Evgenij Onegin di Čajkovskij, opera tratta dall’omonimo romanzo in versi di Puškin portato in scena nel meraviglioso allestimento di Robert Carsen creato nel 1997 per il Met di New York, ma in prima assoluta al Teatro dell’Opera di Roma che dedica lo spettacolo a Mirella Freni scomparsa pochi giorni fa. Grande successo di critica e pubblico per la magnifica opera russa diretta dalla bacchetta attenta e drammatica di James Conlon in un allestimento che a distanza di 20 anni dal debutto appare ancora moderno e travolgente.
Un allestimento che porta la firma inconfondibile di Carsen e del suo minimalismo e che nella sua austerità è pronto ad esaltare la purezza dei sentimenti che restano cuore dell’opera: opera già definita “enciclopedia della vita russa”, l’Onegin viene strutturato da Čajkovskij come “quadri lirici in tre atti”.
Carsen, alla terza regia al Costanzi dopo Orfeo ed Euridice e Idomeneo coglie perfettamente le indicazioni del compositore costruendo uno spettacolo dal fascino nostalgico che mette in scena la Russia dell’Ottocento, la sua vita di campagna, i balli nei palazzi e il rito dei duelli, la sontuosità dell’aristocrazia. Al centro della sua regia, mai statica, ma gli uomini e le donne, i loro sentimenti che continuano a renderli individui ancora moderni, quasi eterni, nonostante tutto: i sentimenti sono sentimenti e la storia dell’amore non corrisposto della pura e semplice Tat’jana per il tormentato dandy Onegin continua a coinvolgere lo spettatore.
Al centro del romanzo e dell’opera passioni e sentimenti irrealizzati in un groviglio inestricabile di amore e morte: il poeta Lenskij ama la volubile Olga, ma il giovane morirà in duello per mano del suo migliore amico Onegin, lo stesso uomo che ha rifiutato l’amore della pura Tat’jana pronta a rifuggirlo quando lui, anni dopo, scoprirà l’amore per la donna ormai sposata a un nobile aristocratico.
Il fascino di questo allestimento risiede anche nel prezioso equilibrio che esiste fra l’asciuttezza delle scene giocate sui colori, la bellezza dei costumi d’epoca fra ampie gonne ed eleganti velluti che ci portano nella Russia imperiale con i travolgenti sentimenti che attraversano tutta l’opera.
Il minimalismo delle scene sempre essenziali di Michael Levine (creatore anche dei bellissimi costumi d’epoca) con pochi, indispensabili oggetti, accentua proprio tutta la ricchezza emotiva dei personaggi contribuendo a costruire l’atmosfera struggente e struggente di uno spettacolo che continua a essere emotivamente accanto allo spettatore. Decisive le luci di Jean Kalman che illuminano le scene e la vita degli personaggi attraverso tre colori spaziando dal caldo autunno russo fra giallo e arancione simbolo della speranza di felicità e di una passione appena sbocciata fino al blu freddo, simbolo del rifiuto amoroso che accompagna anche l’agghiacciante duello di Onegin e Lenskij con una trovata geniale di Carsen che pone frontalmente i due uomini allo spettatore con un punto di vista inedito fino alla vestizione di Onegin, momento di raccordo fra secondo e terzo atto (che sostituisce le originarie danze). Per arrivare al ballo del terzo atto dove poche sedie aiutano a immaginare la ricchezza di un palazzo nobile nella Pietroburgo dell’Ottocento e al raggelante dialogo fra i due mancati amanti avvolti in un bianco freddo.
Brillante cast unico con il sempre convincente Markus Werba con un timbro gradevole ed elegante, adatto anche nella sua prestanza fisica nel ruolo dello sprezzante e altero Onegin, personaggio attraversato da una sottile malinconica e quasi ingiustificata sofferenza. Grande protagonista è la giovane Maria Bayankina, bellissima voce al debutto al Costanzi nell’impegnativo ruolo della dolce Tat’jana, luminosa e commovente nella sua evoluzione di donna. In scena anche i bravi Yulia Matochkina nel ruolo della frivola Ol’ga, Saimir Pirgu nel ruolo del poeta Lenskij, John Relyea, l’austero principe Gremin. I tormentati personaggi russi rio scena ivivono attraverso delle sagome immediatamente riconoscibili e attraverso un melodramma dell’anima travolto dalle armonie di Čajkovskij che recuperano temi legati alle grandi sinfonie o ai grandi balletti della tradizione classica esaltati da una direzione drammatica e avvolgente di Conlon Ed è la bellezza di un allestimento così atemporale, ma così straordinario ad esaltare il dramma dei sentimenti lasciando interrogare lo spettatore sulla passione immediata di Tat’jana per Onegin, ma anche sulle dinamiche della sofferenza insita di un personaggio tormentato dietro cui si nasconde un altrettanto tormentato Čajkovskij con tutti i demoni della sua omosessualità. In scena fino a sabato 29 (ore 18.00). Info: operaroma.it