Alessandro Serra porta al Teatro Astra “Il giardino dei ciliegi” di Anton Cechov, rileggendo l’opera in una chiave ritmica e corporea alla quale il regista romano ci ha abituati con le sue opere. Fin dal scena iniziale in cui gli attori stesi al suolo creano un tappeto di voci e rumori, di parole interrotte di ritmi spezzati, Serra ci porta in una dimensione onirica e giocosa in cui la realtà irrompe ignorata con tutta la sua brutalità. Il ritorno a casa di una famiglia di nobili russi decaduti cui sta per essere pignorato ogni bene, compreso il giardino dei ciliegi, bellezza naturale citata anche nelle guide turistiche, innesca un’ondata di nostalgie e dolori, rimorsi e debolezze dello spirito. Tutto si gioca su di un ritmo elevato, serrato, intrecci di storie, fiati sospesi, intermezzi onirici, rimandi al circo, ai giochi delle ombre cinesi, a geometrie che si rincorrono sia nello spirito che nella scena. La scenografia è la stanza vuota dell’anima, ormai abbandonata, ornata solo di alte paratie avvolte di una stoffa opaca grigia ma sensibile alla luce. Questa è posizionata in ogni luogo, davanti, sopra, dietro i fondali, all’interno di lampade ottocentesche manovrate dagli attori, in proscenio per proiettare grandi ombre di ruote o il gancio temibile di una gru da costruzione. La luce, che non si vede, mette in evidenza le ombre dei personaggi, le loro storie, aspirazioni spezzate, le ansie di chi lotta per conservare ancora solo un briciolo di dignità. Cechov mette in scena il conflitto sociale di fine ottocento di una nobiltà in procinto di essere spazzata via da una borghesia affarista che non ha cura per la bellezza, ma solo per i soldi e per un arrivismo sociale avido e miope. Serra orchestra un cast di attori che hanno l’aria di essere usciti dalla mente di un Mejerchol’d ingentilito, troupe di un circo dagli affetti vuoti, in cui la perfezione delle partiture fisiche e delle geniali visioni corali è lente d’ingrandimento su di un amaro mondo in decadenza. Ogni più piccolo aspetto della messa in scena, dagli oggetti ai suoni, alla progettazione luminosa, ai costumi, sono ideati e curati dallo stesso Serra che concentra l’attenzione sulla perdita di lucidità di una società in procinto di far scoccare la scintilla della rivoluzione. Cechov viene preso sotto braccio ad accompagnato a svelarsi senza pudore nel corpo consumato dal tempo e nello spirito desueto alla libertà del servo di famiglia che nel finale si accascia esausto su ciò che rimane di tutta una vita di fasti insensati: un groviglio di sedie metalliche intrecciate rimosse impietosamente dalla scena.
Visto il 14 febbraio 2020.
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Il giardino dei ciliegi
di Anton Cechov
Regia: Alessandro Serra
Con: Arianna Aloi, Andrea Bartolomeo, Leonardo Capuano, Marta Cortellazzo Wiel, Massimiliano Donato, Chiara Michelini, Felice Montervino, Fabio Monti, Massimiliano Poli, Valentina Sperlì, Bruno Stori, Petra Valentini
Drammaturgia, scene, suoni, luci, costumi: Alessandro Serra
Consulenza linguistica: Valeria Bonazza e Donata Feroldi
Realizzazione scene: Laboratorio Scenotecnico Pesaro
Direzione tecnica e tecnico della scena: Giuliana Rienzi
Tecnico della luce: Stefano Bardelli
Tecnico del suono: Giorgia Mascia
Collaborazione ai costumi: Bàste
Attrezzista: Serena Trevisi Marceddu
Organizzazione, distribuzione: Danilo Soddu
Produzione: Sardegna Teatro, Accademia Perduta Romagna Teatri, Teatro Stabile del Veneto, TPE – Teatro Piemonte Europa, Printemps des Comediéns
Coproduzione: Compagnia Teatropersona, Triennale Milano Teatro