Per la gioia dei fan rossiniani, tenuti a digiuno stretto per diverse stagioni, continua la serie delle nuove produzioni di questa stagione francofortese. Dopo l’Otello di Damiano Michieletto (https://www.teatrionline.com/2019/09/otello-opera-francoforte/ e in attesa di Bianca e Falliero (in programma ad Aprile), va in scena La Gazzetta.
Fra febbraio 1816 e gennaio 1817 Rossini mandò in palcoscenico quattro opere: Barbiere, La Gazzetta, lo stesso Otello e Cenerentola. La Gazzetta, che debuttò il 26 settembre 1816 al Teatro dei Fiorentini di Napoli, si trovò così incastrata fra tre pesi massimi del teatro musicale, non solo rossiniano ma di tutti i tempi. Lavoro più debole dei contemporanei, ebbe scarsissima fortuna già ai tempi dell’esordio e di fatto scivolò via dai cartelloni per riemergere poi nel secondo dopoguerra. All’eclissi della Gazzetta contribuì anche la sparizione della musica del quintetto del primo atto, uno dei pezzi forti dell’opera e un tipico momento rossiniano di follia organizzata. Per puro caso le note del quintetto riapparvero nel 2012 dagli Archivi della Collezione del Conservatorio di Palermo e adesso si può apprezzare l’opera completa.
Il libretto di Giuseppe Palomba, liberamente tratto dalla commedia di Goldoni “Il matrimonio per concorso”, mette in moto il solito feuilleton da opera buffa, fatto di equivoci, personaggi molto caratterizzati e ovvio lieto fine.
Don Pomponio Storione, mercante napoletano arricchito, arriva a Parigi e pubblica un annuncio su La Gazzetta per trovare un marito adatto alla figlia Lisetta. Di fatto un on-line dating ante litteram, salvo che l’annuncio lo mette il padre e non la diretta interessata. Lisetta ama però Filippo, l’oste della locanda dove alloggiano i protagonisti. Un giovane di buona famiglia, Alberto, intanto si lamenta con Madama La Rose, un viaggiatrice, di non aver ancora trovato la moglie dei suoi sogni. Arrivano all’albergo un altro padre con un’altra figlia da maritare, Anselmo e Doralice. Alberto cerca la ragazza pubblicizzata sul giornale, ma si innamora di Doralice (che lui pensa sia Lisetta) già promessa dal padre a Monsieur Traversen. Frattanto Filippo, per sviare le attenzioni dalla sua relazione con Lisetta, finge di esser sposato con Madama La Rose. Un ballo in maschera aggiunge altro scompiglio. Il carosello di passioni e malintesi prosegue finché i due genitori devono acconsentire obtorto collo alle nozze delle figlie con i rispettivi spasimanti.
Caterina Panti Liberovici, cui è affidata la regia, ambienta la vicenda in una stazione francese degli anni ’20, come mostrano anche i bei costumi di Raphaela Rose. Una stazione da cui i treni non partono per sciopero, una costante francese attraverso i decenni, e in cui si aggirano e si incontrano i protagonisti della commedia. Pensando all’annuncio su La Gazzetta, si apprezza questa trasposizione temporale dato che i “ruggenti anni venti” non furono soltanto un periodo di esuberanza tecnica ed economica, ma anni in cui il ruolo della donna nella società cambiò vertiginosamente, fu introdotto il suffragio femminile, si aprirono le professioni alle donne e anche il loro ruolo in società divenne più libero e spassionato. Le scene disegnate da Sergio Mariotti, che incastra perfettamente la stazione nell’architettura del Depot (la sede secondaria della Oper Frankfurt, per altro un vecchio deposito di tram), creano una cornice visivamente solida a una trama piuttosto sgangherata. L’uso sapiente di pannelli mobili e di porte girevoli, grazie a cui la stazione diventa di volta in volta albergo e caffè, infonde dinamismo alla recita. Scelta felice anche quella di aggiungere due protagonisti muti al libretto originale: lo spassoso tuttofare Passepartout (Martin Georgi) e la statuaria fidanzata (temporanea) di Monsieur Traversen ravvivano ancor più la recita. Lo spettacolo funziona, il pubblico si diverte e applaude.
Al libretto piuttosto deboluccio fa da contrasto la costruzione musicale di Rossini, un carosello raffinato e brioso di colorature, recitativi e pezzi d’assieme. Lo spartito si avvale anche di diversi “auto-prestiti” da opere precedenti (Turco in Italia e Pietra del Paragone, Torvaldo e Dorliska), mentre la sinfonia sarà poi riciclata per la Cenerentola. Simone Di Felice, che accompagna anche i recitativi al fortepiano, tiene insieme con sicurezza l’orchestra a ranghi ridotti, cantanti e coro. Si lascia il giusto spazio ai protagonisti e i pezzi d’assieme sono ben concertati.
Pregevole la compagnia di canto, anche il per virtuosismo delle movenze e dei gesti, da cui traspare un solido lavoro di recitazione. Sebastian Geyer è un mattatore nei panni dell’egocentrico e tronfio Pomponio, il ruolo principale della commedia, che richiama il Bartolo del Barbiere e al Don Magnifico della Cenerentola. Il baritono tedesco si appropria del ruolo con grande vis comica e bel colore vocale. Elizabeth Sutphen, ben sorretta da indubbie capacità sceniche e da voce agile, si destreggia bene nella parte di Lisetta, che nel corso della serata si trasforma da fanciullina in bianco casto e virginale in giovane vamp. Mikołaj Trąbka, altro baritono, restituisce gli accenti appassionati del locandiere Filippo con un bel timbro pieno e virile. Angela Vallone ha la voce e il physique du rôle di un’affascinante Doralice. Il suo spasimante, Matthew Swensen nei panni di Alberto, si fa apprezzare da subito per la sua aria di sortita “Ho girato il mondo intero”, per la voce giovanile e luminosa di tenore. Nina Tarandek è una Madama La Rose in grande spolvero; non sorprende che l’avvenente comparsa bionda alla fine la preferisca all’algido Monsù Traversen portato in scena da Danylo Matviienko.
Alla fine applausi convinti per tutti i protagonisti della recita. Visto il successo della serata, sarebbe davvero il momento per un nuovo Barbiere, la cui ultima messinscena debuttò nel 1988 con Gianluigi Gelmetti sul podio.