Note ben conosciute a tutto il pubblico invadono la sala del teatro quando le luci sono ancora accese lasciando entrare immediatamente la platea nella vicenda: comincia così la versione teatrale di Mine vaganti di Ferzan Özpetek che al debutto al Teatro Ambra Jovinelli di Roma (repliche final 1 marzo) si conferma un grande successo.
Certamente lusinghiero, ma anche rischioso per Özpetek debuttare nella regia teatrale portando dal grande schermo al palcoscenico il suo più grande successo cinematografico che a distanza di dieci anni appare sempre fresco e intenso il regista turco però non ha confezionato uno spettacolo che emulasse meramente il film evitando il rischio con dall’inizio strutturando la vicenda attraverso un lungo flash back del protagonista Tommaso che si interseca con i ricordi, con i dialoghi con gli altri personaggi, alternandosi alle scene evocate dal passato.
In questo modo l’intenzione fra l’io narrante di Tommaso e gli altri personaggi che popolano via via il palcoscenico, resta sempre costante e il ritmo dello spettacolo sempre serrato e ricco di movimento per una grande commedia corale che parla di sentimenti, di famiglia, di pregiudizi, ma anche di crescita e di maturità.
La storia si dipana sotto gli occhi attenti degli spettatori attraverso scene ben note: al centro, la famiglia Cantone, proprietaria di un grosso pastificio, con le sue radicate tradizioni culturali alto borghesi e un padre che vuole lasciare in eredità la direzione dell’azienda ai due figli. Ma il primogenito si dichiara omosessuale battendo sul tempo proprio il figlio minore tornato da Roma appositamente per confessare alla famiglia la sua omosessualità. E da lì, tutto cambia.
Certamente tutti i personaggi in scena richiamano volutamente la fisicità e il look degli attori del film rendendo ogni personaggi immediatamente identificabile, ma l’approccio di Özpetk, che si è rivelato vincente è di aver lavorato per sottrazione spostando la storia dal Salento a un piccolo centro e in qualche modo creando un buon equilibrio fra i dialoghi del film, con alcune battute entrate nell’immaginario collettivo e attese dal pubblico e altre scene di raccordo che vengono introdotte nella versione teatrale.
Il pubblico in questo modo si sente coccolato e non tradito aspettando tanti dialoghi noti e tante scene spassose, ma a tempo stesso si trova ad essere sollecitato nell’attenzione costante all’andamento dello spettacolo.
Molto è evocato, qualcosa è cambiato, ma sostanzialmente affidandosi a un ottimo cast corale, Özpetek riesce a mantenere inalterata la brillantezza di una grande commedia italiana all’interno del quale colloca tante questioni diverse, i conti con la famiglia, il desiderio di libertà e l’affermazione della propria identità, il giudizio della società, i pregiudizi.
Gli attori si muovono lungo le ampie scene con lunghi tendaggi bianchi di Luigi Ferrigno illuminate Pasquale Mari che regalano un senso di libertà all’allestimento ove anche la platea diventa protagonista, invasa via via dagli attori.
Anche il cast, prezioso, si rivela particolarmente adatto per la versione teatrale con Francesco Pannofino che gigioneggia nella parte di Vincenzo, capofamiglia Cantone, la sempre brava Paola Minaccioni nel ruolo della madre Stefania e l’ottima Caterina Vertova nel più bel ruolo pensato dal regista, quello della nonna, la mina vagante per eccellenza (Ilaria Occhini sullo schermo), emulando in qualche modo non solo la fisicità sofisticata, ma anche la voce della grande Ilaria Occhini dello schermo.
Nel cast anche Giorgio Marchesi (per lui una cameo nella pellicola nel ruolo di Nicola) che qui si confronta con il ruolo del fratello maggiore, ma anche tanti altri giovani con Antonio Musella nel ruolo di Tommaso e i giovani Roberta Astuti, Sarah Falanga, Mimma Lovoi, Francesco Maggi, Luca Pantini, Edoardo Purgatori.
Se Özpetk affronta con sensibilità quella che sembra essere una commedia dolce amara, è anche vero che non resiste mai anche nella versione teatrale all’inserimento dei suoi tradizionali personaggi omosessuali che vengono (proprio come nel film) fin troppo caricati fino a diventare quasi delle parodie di loro stessi andando in qualche modo a sminuire forse l’importante messaggio di accettazione della sessualità. Operazione che tuttavia, strizzando l’occhio al pubblico, ne scatena l’ilarità coinvolgendolo in ogni dove..
In scena final 1 marzo, con un debutto sold out e due recite straordinarie andate esaurite, Mine vaganti si conferma uno spettacolo intelligente e ben confezionato, di certo uno grandi successi di stagione del Teatro Ambra Jovinelli di Roma.