“Non ho voluto avvicinarmi a un mostro sacro, un’icona come Arlecchino per testimoniare il mio rapporto con la teatralità”. Queste le parole di Valerio Binasco, direttore artistico del Teatro Stabile di Torino, 5 volte premio Ubu, alla regia di un nuovo allestimento di un classico della tradizione teatrale italiana.
E l’approccio con Arlecchino servitore di due padroni di Carlo Goldoni, in scena al Teatro Argentina di Roma fino al 23 febbraio (poi in tournée), si rivela un’intuizione felicissima presentandosi come totalmente altro rispetto alla mitica versione di Strehler con Ferruccio Soleri.
Binasco infatti rifiuta volontariamente il confronto con Strehler cogliendo invece tutta la straordinaria modernità intrinseca di un testo del 1745 che rilegge con taglio e occhio squisitamente e adeguatamente cinematografico: un approccio che nasce dall’esigenza di narrare un certo tipo di umanità la cui anima chiede di essere raccontata con maggiore realismo e che Binasco riesce a cogliere in ogni diversa sfumatura.
Il risultato è un affresco sociale e umano goldoniano e modernissimo del mondo come teatro (e viceversa) che Binasco tratteggia con tutta l’intelligenza e lo sguardo sempre attento della commedia all’italiana, equilibratissimo nell’alternare alla costante e forte vena malinconica che attraversa tutto il testo, l’indiscutibile vena comica, raccontando un’umanità nettamente divisa non solo fra servi e padroni, ma anche una società fortemente patriarcale dove gli uomini sono prevaricatori e le donne vengono sottomesse e relegate in un ruolo subalterno. senza la possibilità di poter decidere nulla.
Binasco la regia di Binasco è fluida e carica di ritmo e riesce a mantenere un equilibrio perfetto fra la drammaturgia goldoniana e le atmosfere cinematografiche di un’Italia lontana in bianco e nero, paesana e arcaica, ma ormai scomparsa con i pregio di non scivolare mai nella tentazione della comicità irresistibile o della farsa, aprendo uno spiraglio al protofemminismo nel tentativo di emancipazione delle donne.
Ma quanta poesia traspare in ogni scena, soprattutto nella figura malinconica e triste di Arlecchino, l’insuperabile Natalino Balasso, simbolo non solo del servo famelico della tradizionale goldoniana, ma anche simbolo stesso di un uomo disperato in cerca di riscatto tanto da voler tentare di servire, più o meno abilmente, due padroni contemporamente. L’Arlecchino di Binasco è ancora un uomo irriverente e bugiardo, ma tremendamente tenero nel suo tentativo di rivalsa sociale o alla semplice ricerca di una collocazione nel mondo, di una sua giusta legittimazione amorosa (con una sua pari): il lavoro del regista sulla maschera italiana è straordinario e innovativo intento a regalare al personaggio una sensibilità tutta nuova. Ma la modernità tocca anche gli altri personaggi che perdono via via i tratti quasi farseschi di maschere della Commedia dell’arte per trasformarsi in anime vere, come lo strepitoso Pantalone di Michele Di Mauro o come Beatrice che diventa una sorta di eroina romantica alla ricerca del suo amore e della sua libertà.
Fra le scene borghesi acquarellate di Guido Fiorato illuminate da Pasquale Mari e musiche senza interruzione di Arturo Annecchino, Binasco adatta la drammaturgia goldoniana in una girandola di umanità vecchio stampo.
Le schermaglie amorose cedono il passo al fremente desiderio di due persone che disperatamente si cercano (come Beatrice e Florindo distrutti dal dolore reciproco) in un incontro impossibile, ma non mancano neppure l’ironia sui personaggi (il poco sveglio promesso sposo di Clarice), i numerosi equivoci ravvivati dalla vivace, ma mai gratuita vis comica.
Binasco non tralascia nulla e non dimentica neppure l’origine delle maschere della Commedia dell’arte e il provincialismo del nostro cinema mantenendo una variegata eterogeneità dialettale che impegna costantemente lattazione dello spettatore.
Un Goldoni veramente inedito, come mai si era visto prima, conferma le ottime intuizioni di Valerio Binasco, lungamente applaudito dopo la prima, che ha diretto una compagnia di attori che vantano una consolidata collaborazione con il regista, Fabrizio Contri, Marta Cortellazzo Wiel, Lucio De Francesco, Denis Fasolo, tutti bravissimi nel lasciar emergere la sfaccettata l’umanità del proprio personaggio.
Un Goldoni da non perdere in replica fino al 23 febbraio. Biglietti: intero 40 euro – ridotto 12 euro, Biglietteria: 06.684.000.311/314, info su www.teatrodiroma.net. Appuntamento in Sala Squarzina il 14 febbraio (ore 18) anche con l’incontro Da Arlecchino a Parasite. Come si racconta la fame, incontro libero con prenotazione obbligatoria.