di Lucia Calamaro
regia e colonna sonora Davide Iodice, aiuto regia Giusi Salidu
con Maria Grazia Sughi e Michela Atzeni
spazio scenico Tiziano Fario
costumi Daniela Salernitano
luci Loïc François Hamelin
produzione Sardegna Teatro
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Un senso di perduta fragilità, vuoto siderale, pareti che delimitano un confine facilmente valicabile, tutto monocromatico: celeste senza sfumature.
Una figura appare come una macchia rossa in tanto ceruleo contesto: la vestaglia si apre sopra una tuta-pigiama. Siamo ovviamente in un interno, un letto di profilo nell’angolo, a sinistra di chi guarda (il pubblico), spoglio ed anonimo, come lo sono tutti i letti d’ospedale. Qui forse siamo in una clinica, o una casa di riposo ma è proprio il riposo che manca in questa storia, ridondante di solitudine.
La donna si agita chiedendo a qualcuno che non c’è o non si vede al momento: “Che ora è?” La risposta non arriva. La domanda si ripeterà di frequente, inutilmente.
La solitudine della donna riflette l’assenza di gravità dell’astronauta che accetta di fluttuare anche all’infinito pur di avanzare nella ricerca della conoscenza dell’immensità dell’universo.
Sempre sul davanti, a destra un televisore acceso manda le immagini dello spazio, pianeti che si muovono seguendo un loro ciclo ritmico inframezzati da volti di scienziati e studiosi che ne spiegano le dinamiche ad un ignoto intervistatore. La voce, sottofondo suggestivo, fa compagnia assecondando il respiro ed il pensiero della Signora Urania (chiamiamola così per comodità e simpatia). E d’altronde è la stessa protagonista ad appropriarsi di tale nome, scritto su un cartellino che si attacca al petto con piglio deciso, quasi fosse un atto di ribellione rivoluzionaria.
Urania (inizialmente edita col nome I romanzi di Urania) è una collana editoriale italiana di fantascienza nata nel 1952, la più nota e longeva nell’ambito del genere in Italia.
Pubblicata da oltre 60 anni, il suo ruolo nella diffusione della letteratura fantascientifica tra gli italiani è rilevante: molti scrittori di fantascienza come Asimov, Ballard, Dick, Le Guin e altri furono pubblicati per la prima volta in questi libri dal cerchio rosso in copertina.
Nel 1952 la casa editrice Mondadori lanciò contemporaneamente con questo nome una rivista di racconti di fantascienza e una collana di romanzi (I romanzi di Urania), ispirandosi per il nome a Urania, la musa dell’astronomia.
La collana ha inoltre istituito un noto premio letterario per autori italiani di fantascienza, che ha scoperto e lanciato autori come Luca Masali, Valerio Evangelisti, Francesco Verso.
Fa simpatia la signora Urania che si agita con mille intendimenti. Vuole dormire, ma non ci riesce. Vuole leggere ma non trova la biografia di Picasso, che aveva iniziato. Vuole uscire, ma non esce, gira in tondo come una cavia nella ruota dello scoiattolo. E cammina con passo traballante, si muove nella camera con il braccio alzato verso l’alto e indica col dito telescopico, ma ancor meglio periscopico i vari pianeti sorridendo ad ogni nuovo avvistamento. Ecco Venere, Saturno, Marte, Plutone ed Urano ed ancora ed ancora…
La camera clinica già psicologica si apre sullo spazio infinito di mille possibilità di altre mille vite ed esistenze. Libertà di avventure, sognate desiderate e irreali nella loro infinità realtà, lontana anni luce…
Parla a scatti con frammenti di frasi, a volte sussurrandole a se stessa, a volte scandendo con maniacale precisione tutte le sillabe della parola.
“Ci vorrebbe un pensiero! Ci vorrebbe una preoccupazione” dice a voce alta. L’occupazione è quello che le manca! Avendo una preoccupazione avrebbe anche un’occupazione. Mantenere la mente occupata e non vedere quello che la realtà presenta. Essere lavata, girata, vestita o spogliata da mani che non comunicano, che non riescono a trasmettere umanità, non riescono ad arrivare, ad oltrepassare la barriera di difesa che protegge isolando allo stesso tempo.. Perdita di memoria, di identità, smarrimento. Dalle nebbia della confusione mentale come in un caleidoscopio di immagini balzano fuori le parole chiave, le domande esistenziali, le pietre d’inciampo in cui tutti nella propria vita, in un momento di confusa lucidità si imbattono.
Siamo consapevoli di avere deciso qualcosa della nostra esistenza? O tutto è davvero dovuto al caso? Siamo noi a tracciare le linee del disegno o possiamo soltanto colorare le figure, senza uscire dai bordi? Mille e ancora mille le domande che si affacciano alla mente degli spettatori, seduti, involontari complici e compagni di un viaggio nello spazio della mente.
La scena della pièce di Lucia Calamaro, premio Ubu 2012, è spazio medicale, dal colore azzurro di Urano, dove si dispiega la dinamica tra Maria Grazia Sughi – attrice cui il testo è dedicato, fervente fulcro di questo immaginario – e Michela Atzeni, coro corporeo e contraltare di un costante flusso di coscienza.
Molto brava Maria Grazia Sughi, attrice convincente, colora il suo personaggio di donna anziana e confusa con sfumature di vibrante intensità. Leggera e commovente volteggia sulle tavole del palcoscenico lanciando semi di riflessione dalla sua macchinetta quasi fosse su una giostra o addirittura una mongolfiera.
La sua compagna di scena, Michela Atzeni, muta di parole ma traboccante di messaggi, indossa costumi e ruoli regalando illusioni e suggestioni. Perfetta nel liberare la scena, veloce, quasi invisibile, sorprende con grazia e personalità in ogni cambiamento.
“Lavorare sulla scrittura di Lucia (Calamaro) fornisce un’esperienza intima, caotica e indocile come sono gli ingarbugli dei pensieri, il flusso irrisolto della psiche. – scrive nelle note di regia Davide Iodice – Senza un filo narrativo, affiorano tratti densi di umanità e la riscrittura scenica verso la quale abbiamo proceduto si articola sulle modulazioni sentimentali di figure che abitano un universo di solitudine”.
Un preciso gioco di luci ed una regia incisiva, essenziale e al contempo ricca di rimandi metaforici ed allusivi hanno incastonato in una cornice preziosa un gioiellino da gustare con riguardo e rispetto per la tematica trattata e la delicatezza della messinscena.
Una “chicca” nel panorama teatrale, dove il testo è trama da ricamare e la realizzazione è una filigrana d’argento come l’età della protagonista.
Applausi meritati.