Essenziale, scarno, incisivo. Roberto Herlitzka è Enrico IV, ne incarna l’animo e la mente che ondeggia tra realtà e follia nel sostenere il suo assunto.
Provato nel fisico asciutto e indomito, la stampella su cui si appoggia diventa strumento di affermazione del suo status, leva per sostenersi o per lanciare fieramente lontano da sé quella corona che rappresenta per il mondo la sua follia.
Antonio Calenda regista ed Herlitzka interprete ripropongono in prima nazionale assoluta un binomio collaudato in un sodalizio cinquantennale di opere shakespeariane. E proprio dal dubbio fra Shakespeare e Pirandello prende le mosse la messinscena. Il giovane che è stato appena assunto ha il dubbio se l’uomo al cui servizio dovrà essere assegnato crede di essere Enrico IV dell’opera del Bardo che si colloca nel 1400 o di quella del drammaturgo di Girgenti che fa riferimento a Enrico IV di Franconia dell’XI secolo.
Entrano in scena i personaggi in abiti contemporanei rievocando l’antefatto. In occasione del carnevale un gruppo di persone prende parte a una cavalcata storica cui partecipano un nobile nelle vesti di Enrico IV di Franconia, Matilde Spina (donna di cui è innamorato) come Matilde di Toscana e il suo rivale barone Belcredi che sabota il cavallo facendolo disarcionare e battere la nuca. Tale incidente imprigiona l’uomo nel suo personaggio, assecondato dal nipote Di Lolli che gli mette al servizio nel palazzo in cui vive rinchiuso dei giovani che fingono di essere i consiglieri segreti del re.
Dopo 20 anni, un medico accompagnato da Matilde e Belcredi, vuole attuare un tentativo che potrebbe farlo rinsavire inscenando la situazione che lo ha precipitato nella follia, facendo assumere a Frida, la figlia di Matilde cui somiglia totalmente, il ruolo della madre da giovane. Enrico IV, che indossa un saio da penitente come a Canossa per impetrare la revoca della scomunica da papa Gregorio VII, svela ai servitori di aver capito che le persone che son venute a trovarlo sono impostori travestiti, poiché da otto anni ha riacquistato la ragione ma ha preferito continuare con la finzione della follia per non condannarsi alla solitudine. Ai giovani allibiti confessa il rimpianto per la sua gioventù e la donna amata e suggerisce loro di godere del piacere di vivere nella storia dove tutto è immutabile perché già avvenuto.
La pantomima che intanto viene allestita lo disorienta palesandogli una giovanissima Matilde. Nel parapiglia, Belcredi travestito da frate cluniacense viene gravemente ferito da Enrico IV, a cui non resterà che continuare a fingersi pazzo sapendo di non esserlo, mentre gli altri lo sono senza saperlo. Tale stato lo proteggerà dalla realtà della vita che non ha vissuto e dalle conseguenze del suo delitto.
Istrionico e a tratti ironico Herlitzka emaciato e apparentemente fragile, catalizza e giganteggia nella duplicità di visione del suo personaggio tra la follia pacata e la lucidità esasperata che trova ristoro nella pazzia per scelta. Il fisico, la postura, i movimenti lenti ritmati dal battere della stampella sulla pedana, la voce a tratti flebile ma ferma sono espressione di una forza recitativa stringata e potente. Coinvolgenti gli altri interpreti: Daniela Giovanetti (Matilde Spina), Giorgia Battistoni (Frida), Lorenzo Guadalupi (Di Nolli), Armando De Ceccon (Belcredi), Sergio Mancinelli (dottore), Alessio Esposito (Landolfo), Stefano Bramini (Arialdo), Lorenzo Garufo (Ordulfo), Dino Lopardo (Bertoldo).
Scrive Calenda nelle note di regia: “Ritrovo un compagno di tanti viaggi teatrali, un attore raffinato e implacabile nel suo volere continuamente cercare, una delle figure rare di artista-intellettuale. Guardo Roberto Herlitzka e ripenso alle tante esperienze artistiche condivise. Lo sento pronunciare le prime battute dell’Enrico IV e mi convinco che siamo nel momento giusto per mettere in scena quest’opera-mondo, un trattato purissimo di filosofia sciolto in forma drammatica, in grado di raccontare, meglio e più di altri testi, la follia di un mondo deragliato, il nostro, in cui regna la pura legge del caos. Mettendo sul capo di Roberto Herlitzka la corona del re pazzo, gli affido il bastone del rabdomante, perché possa rivelarci senza paura fino a che punto il mondo ha saputo convivere con la propria follia, fino a farla coincidere con il pensiero dominante, erigendo sull’ipocrisia e sul consenso i pilastri di questa nostra società”.
Lo spazio teatrale ricavato nella navata centrale della cripta della Scala Santa (antistante la basilica lateranense) costituisce una scenografia naturale per una rievocazione storica. Gli archi a tutto sesto ricoperti da mattoni a vista che evocano le sale sotterranee di un’antica magione, danno maggiore verosimiglianza alla vicenda.