A cura della Compagnia permanente di ERT Fondazione
Daniele Cavone Felicioni, Michele Dell’Utri, Simone Francia, Michele Lisi, Diana Manea, Paolo Minnielli, Jacopo Trebbi e Maria Vittoria Scarlattei
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Dalle 18.00 di oggi, martedì 10 marzo 2020, un momento simbolico in cui si interrompe l’attività nei luoghi di ristoro, Emilia Romagna Teatro Fondazione trasmette sui propri canali social unificati – Facebook (@ErtFondazione), Twitter (@ERT_Teatro), Youtube (emiliaromagnateatro) e Instagram (@emiliaromagnateatro) – Io leggo a casa (#ioleggoacasa), una maratona streaming di 24 ore della lettura integrale de La coscienza di Zeno di Italo Svevo.
Gli attori della Compagnia permanente di ERT Fondazione daranno voce al romanzo alternandosi ogni ora per un intero giorno, una lettura solitaria e condivisa, una lettura da casa per gli altri e con gli altri. Una lunga maratona domestica, una piccola e sentita testimonianza. Un modo rispettoso di esserci per la comunità e con la comunità, in un momento così delicato. Un invito a ricordare che, anche se ai margini, il teatro c’è – e si ostina a insegnarci ad essere-per-gli-altri. Questo il DNA del teatro, tanto più se pubblico.
Oh Dio! Potrei vivere nel guscio di una noce e credermi re d’uno spazio infinito, se non fosse per certi cattivi sogni.
W. Shakespeare, Hamlet, II, ii
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10 marzo 2020
Il tempo scorre inesorabile, a tratti lento, a tratti veloce, ma scorre.
Talvolta, però, il fluire del tempo s’ingolfa, si strozza. E il tempo si strappa, fa un balzo. Si scopre, di getto, diverso da sé. Distante da ciò che fino a un attimo prima è stato.
Volenti o nolenti, questa notte siamo stati proiettati in un tempo nuovo. Un tempo altro, aspro e di grande responsabilità. Un tempo sospeso e pregno di domande. Un tempo di paure e di incertezze, che ancora non conosciamo e non dominiamo. Un tempo che forse scopriremo tra cent’anni. Ma un tempo che può riservare anche insperate sorprese – se solo lo si sa guardare.
Qualche ora fa, scriveva Mariangela Gualtieri:
«E c’è dell’oro, credo, in questo tempo strano. / Forse ci sono doni. / Pepite per noi. Se ci aiutiamo».
«Se ci aiutiamo»: qui sta forse la chiave di volta. Uscire dall’io per tornare a dire noi.
Il teatro, ce lo ha ben insegnato Antonin Artaud, è in fondo letteralmente peste. Il teatro è contagio. Sono parole pesanti, queste, specie nel nostro tempo nuovo. Parole faticose a dirsi. Parole che fanno male. Parole che condannano il teatro alla berlina della disapprovazione, del pubblico ludibrio. Ma forse, proprio nel suo essere peste, il teatro potrebbe oggi essere anche un vaccino. Una sapiente malattia, indotta ad arte, per aiutarci a guarire. Per medicare la nostra fragilità e la solitudine in cui ci troviamo improvvisamente precipitati. Un antidoto all’egoismo. La via per ritrovare il senso di appartenenza ad una comunità.
Da più parti ci si invita all’ordine. Al rispetto delle regole. All’assunzione di responsabilità. Per il bene dei nostri cari, delle persone che amiamo. Per il bene del Paese. L’esortazione è chiara e inoppugnabile. State a casa. Non toccatevi. Davanti alla forza dei numeri, difficile sottrarsi a queste raccomandazioni. Troppo alta è adesso la posta in gioco.
Difficile anche, d’altronde, sottrarsi al richiamo della propria piccola quotidiana missione. Al richiamo del proprio tenace fare. In una pagina di lancinante nitore, proprio della Peste, per altro, scriveva Camus: «Il dottore aprì la finestra, il brusio della città si accrebbe all’improvviso. Da un’officina poco distante saliva il sibilo breve e ripetuto d’una sega meccanica, Rieux si scosse: là era la certezza, nel lavoro d’ogni giorno. Il resto era appeso a fili e a movimenti insignificanti, non ci si poteva fermare, l’essenziale era fare il proprio mestiere».
Per rimanere fedeli alle inappellabili consegne dell’oggi, senza tradire lo spirito di quel teatro cui apparteniamo, abbiamo scelto, allora, di restare in casa, a debita distanza, per leggere. Una lettura a un tempo solitaria e condivisa, in quello spazio di pubblica comunità che può essere la grande cavea della rete, se solo volessimo trattare la rete come tale. Nella scelta consapevole di leggere da casa per gli altri e con gli altri (in un reading più preoccupato della propria militanza che della propria forma) sta la nostra piccola e testarda testimonianza, probabilmente insignificante, ma sentita. Il nostro rispettoso modo di essere per la comunità e con la comunità, in un momento così delicato. Il nostro invito a ricordare che, anche se ai margini, il teatro c’è – e si ostina a insegnarci ad essere-per-gli-altri. Questo il DNA del teatro, tanto più se pubblico – come il nostro.
Abbiamo scelto di leggere in una lunga maratona domestica – che partirà oggi, alle 18:00, al simbolico momento della chiusura dei luoghi di ristoro – La coscienza di Zeno. Un caposaldo del Novecento e della nostra cultura. Un romanzo ironico e spietato; la porta d’ingresso, un secolo fa, a un altro tempo nuovo di cui siamo tutti più o meno ancora consapevolmente figli. Un romanzo bizzarro ed estroso che ci insegna quanto sia difficile pensare senza saper ridere.
Tanti e non di rado discordanti i tratti distintivi di un classico; tra i molti, proprio oggi, ci piace ricordarne due – a mo’ di istruzioni per l’uso, per seguire la nostra maratona. Scriveva Calvino, ragionando sul perché leggere i classici: «È classico ciò che tende a relegare l’attualità al rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di questo rumore di fondo non può fare a meno». Ed «è» pure «classico ciò che persiste come rumore di fondo anche là dove l’attualità più incompatibile la fa da padrona».
Questa lunga maratona in streaming vuole essere solo un piccolo esperimento. Un appassionato test. Un assaggio di cosa potrebbe anche essere ERT nei giorni a venire, nel nostro nuovo tempo ancora indecifrabile, per rispondere con le nostre specifiche competenze teatrali, ai bisogni e ai desideri delle nostre città, sapendosi aprire al dialogo e alla contaminazione con ciò che teatro non è.
Emilia Romagna Teatro Fondazione