La settimana digital del Teatro di Roma propone su tutti i suoi canali social (Facebook, Instagram e YuoTube) un palinsesto giornaliero di appuntamenti con inediti contributi immaginati dagli artisti della scena, per tenere viva la conversazione con la città guardando alla distanza non come vuoto ma come spazio pieno del possibile.
Con l’#TdRonline, per la campagna #iorestoacasa e #laculturaincasa, va online giovedì 26 marzo un doppio appuntamento virtuale. Inizia Lino Guanciale (alle ore 12) con appunti da Non svegliate lo spettatore, spettacolo in preparazione su Ennio Flaiano, che ne restituisce, con sguardo acuto e disincantato, tutta la sua causticità e capacità di cogliere quello che ti buono e vizioso esiste nel nostro carattere nazionale. Una manciata di minuti per esplorare le pagine di uno dei maggiori uomini di cultura del Secondo dopoguerra: scrittore (Premio Strega nel 1947 con Tempo di Uccidere) e sceneggiatore di numerose pellicole dirette da Federico Fellini (I Vitelloni, La strada, Le notti di Cabiria, La dolce vita, 8 ½ ), da Alessandro Blasetti (Peccato che sia una canaglia) da Steno-Monicelli (Guardie e Ladri) e di altri capolavori della cinematografia italiana. Un breve viaggio in parole, scritte e ascoltate, che riverberano di senso etico, sociale, storico e come stimolo per riflettere su quanto ci circonda.
Monica Demuru (alle ore 16) ci riconduce alle pagine simboliche della peste che colpì Firenze nel 1348, riportando in voce La Cornice del Decameron di Giovanni Boccaccio, metafora della nostra emergenza. «Non per svolgere un tema, non per sola assonanza o analogia ma per calzante rispondenza, desidero di leggere La Cornice del Decameron di Boccaccio – racconta Monica Demuru – Il motivo scatenante di quelle pagine non stava in una guerra o in un cataclisma ma nella peste, un avvenimento che sconvolse in quegli anni la vita quotidiana, le abitudini e i ritmi di tutti gli uomini, la compagine attiva e produttiva della struttura portante della società». A questo sovvertimento e alla paura risponde un’«onesta brigata» di dieci giovani (sette ragazze e tre ragazzi), che decidono di raccogliersi fuori Firenze in una villa di campagna dove, per dieci giorni, ciascuno racconterà una novella al giorno. Alla parola che narra, alla disciplina del raccontare novelle, i giovani affidano la necessità di sublimare e conoscere le passioni, «esercitare la pietà e sollevare gli animi nel piacere dell’arguzia e della bellezza. Credo – continua l’artista – che a queste pagine possiamo ritornare nello scoprire che la nostra società che nel suo massimo sviluppo storico respinge la cultura come inutile, la invoca per arginare ora l’angoscia profonda nell’isolamento, nella paura e nella mancanza di senso».
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