Barrie Kosky torna all’Opera di Francoforte con una nuova produzione di Salome, l’atto unico adattato dall’omonimo dramma di Oscar Wilde che lanciò definitivamente Strauss nel firmamento musicale. Un impasto inquietante di amore ossessivo, necrofilia, sensualità perversa e ironia macabra che fin dallo scandaloso debutto nel 1905 a Dresda ha messo in difficoltà i registi che ci si cimentano.
Barry Kosky affronta la sfida rimuovendo i molti possibili risvolti drammaturgici, “lo spesso strato di polvere” (per usare le sue stesse parole) accumulatosi nel tempo sull’opera, e raccontando una storia d’amore. Un amore perverso, ma pur sempre amore. Qui Salome è una ragazza sfacciata e intraprendente che davvero s’innamora del profeta Jochanaan. Prima della sua voce fuori campo che esce dalla segreta, poi del suo corpo. Finché lui, invasato di furore religioso, la rigetta mettendo in movimento il meccanismo di distruzione. Lo spettacolo di Barry Kosky fa piazza pulita anche di ogni folklore biblico e si affida soltanto alle voci, ai corpi e agli effetti di luce. Tutto si svolge su palcoscenico scuro e vuoto su cui si muovono i cantanti illuminati da un semplice raggio luminoso (la luce della Luna che ricorre già dalle prime righe del libretto).
La semplificazione, per qualcuno perfino eccessiva, serve a concentrare l’attenzione sulle passioni in scena, ben rimandate anche dall’espressività degli interpreti. Semplici anche i costumi. Un Erode in doppiopetto e un’Erodiade in tailleur. Salome veste simbolicamente in tre colori: bianco (la purezza), rosso (l’amore), nero (la morte). Non mancano i momenti forti della serata, come la danza dei sette veli trasformata in una sorta di depilazione pubblica. E alla fine Salome palleggia con la testa del profeta sospesa a un uncino. L’allestimento di Kosky è una costruzione essenziale e compatta, che ha il pregio di mettere in risalto il sontuoso spartito straussiano e le voci dei cantanti. Viene tuttavia naturale interrogarsi, dopo aver assistito ad altre creazioni del regista (basta rammentare il fantastico Meistersinger di Bayreuth), sui motivi ultimi di tanto minimalismo.
Bravi e applauditi i quattro interpreti principali. Ambur Braid, al suo debutto nel ruolo (che lo stesso Strauss descrisse come “una principessa sedicenne dalla voce di Isolde“) ben si appropria delle passioni di Salome. Il soprano canadese, impressionante per voce e presenza fisica, rimane al centro della recita per tutto il corso della serata e finisce in bellezza con la lunga e raccapricciante scena finale. AJ Glueckert rimanda tutta l’indecisione e la debolezza di Erode, mentre Claudia Mahnke disegna un’Erodiade assertiva e intrigante, di fatto il vero “uomo forte” della corte giudea. Gerard Schneider convince nei panni, in verità piuttosto ridotti, di Jochanaan per i cospicui mezzi vocali e il temperamento spiritato. La direttrice polacca Joana Mallwitz, anche lei di ritorno a Francoforte dopo il recente successo della Pénélope di Fauré (https://www.teatrionline.com/2019/12/penelope-di-faure/), lavora più sulla finezza che sui volumi e restituisce nel dettaglio la voluttuosa sensualità e l’angoscia drammatica della pagina straussiana.
Quando cala il sipario, il pubblico in sala applaude con convinzione tutti i protagonisti della serata.