Romanzo cult da trent’anni a questa parte, The Handmaid’s Tale – Il Racconto dell’Ancella, scritto dalla canadese Margaret Atwood nel 1985 è arrivato al grande pubblico anche grazie all’omonima e pluripremiata serie televisiva di Bruce Miller. E adesso arriva sul palcoscenico con la versione teatrale interpretata da Viola Graziosi nel ruolo dell’Ancella, protagonista di questa storia in cui si parla di libertà e di sottomissione della donna, in un futuro distopico e gerarchizzato che assomiglia così tanto al nostro mondo contemporaneo.
Il debutto romano dello spettacolo, in scena dal 10 al 15 marzo al Teatro Basilica di Roma, è al momento sospeso in ottemperanza al DPCM del 4 marzo 2020 per contenere la diffusione della COVID-19.
La storia è ambientata nella futuribile Repubblica di Galaad, devastata da guerre, inquinamento e sterilità, dove le donne sono strettamente sorvegliate e rigidamente divise in categorie ciascuna delle quali viene identificata dal colore dei loro vestiti. Azzurro per le Mogli dei Comandanti, verde pallido per le Marte, donne sterili e anziane che svolgono i servizi domestici, marrone spento per le Zie, guardiane e sorveglianti e rosso le Ancelle, le sole donne in grado di procreare, sottomesse alla Repubblica per essere fecondate dai Comandanti, le cui mogli hanno il compito di crescere i loro figli. Nessuna delle donne può disobbedire o disattendere al proprio ruolo, pena la morte o la deportazione nelle Colonie.
Viola Graziosi è Difred, l’Ancella protagonista del romanzo e del testo teatrale con la traduzione è di Camillo Pennati per Ponte alle Grazie, la consulenza letteraria di Loredana Lipperini, e quella artistica di Laura Palmieri che racconta la quotidianità a metà fra stata fra senso onirico, incubo e realtà: lo spettacolo è già stato portato in scena al Napoli Teatro Festival sabato 6 luglio nella Galleria Toledo, nato due anni fa in occasione della Giornata della donna per il “Teatro di Radio3”.
È già andato in scena con diverse anteprima a Genova, nel corso del Festival dell’Eccellenza femminile, a Varese per la rassegna Parola di donna, al Piccolo Teatro di Catania, poi a Milano in attesa della tournée nei teatri stabili di tutta Italia con date che toccheranno ancora Roma, Milano, Napoli, Trieste, Brescia, Firenze…
Abbiamo parlato con Viola Graziosi che interpreta l’Ancella dell’adattamento teatrale del romanzo ed è la protagonista de I Testamenti di Margaret Atwood in diretta radiofonica, l’8 marzo alle 20.30, e in streaming video sul sito e sulla pagina Facebook di Radio3 per una Festa delle Donne speciale.
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Viola Graziosi è l’Ancella: raccontaci il tuo personaggio. Chi è Difred e come riesce a sopravvivere nel totalitarismo teocratico di Galaad?
Nello spettacolo che portiamo in scena, e soprattutto nell’adattamento che ha curato Loredana Lipperini, raccontiamo la vita dell’Ancella Difred in questa nuova Repubblica di Galaad, dove “le donne sono protette”. Non raccontiamo la parte che riguarda la sua ribellione, o meglio è l’inizio della ribellione ovvero il suo decidere di raccontare. “Mi piacerebbe credere che sto raccontando una storia”…inizia così, ed è come un messaggio in una bottiglia. Mostriamo come lei si sia adattata, per sopravvivere…e come solo a tratti realizzi la sua condizione. Qualcosa di “vivo” ancora c’è. È una sorta di recupero della memoria, perché solo questo ci può salvare. Difred è la nostra testimone.
Come sei riuscita a calarti nel ruolo? Qual è stato il tuo tipo di preparazione? Sei stata in qualche modo influenzata dalle precedenti versioni rappresentate?
Non è stato facile, ma non tanto per le interpretazioni precedenti alla mia come quella di Elisabeth Moss che ho apprezzato moltissimo (e che in qualche modo mi assomiglia ;), ma perché tocca dei punti dolorosi che riguardano l’essere umano. Durante le prove a volte sono stata costretta a fermarmi perché non riuscivo a trattenere il pianto, addirittura singhiozzavo e mi dicevo “come fa a dire, pensare, agire così!” Il grande lavoro che ho fatto insieme al regista Graziano Piazza è stato interiore, nell’accettare e toccare col dito questa sorta di “disumanità” che appartiene a ciascuno di noi e che è quella parte istintiva, animale, legata alla sopravvivenza. Il lavoro che mi ha fatto fare Graziano è stato quello di andare dall’altra parte, di non giudicarla con i miei occhi di donna occidentale, ma di mettermi nella sua condizione, nella Repubblica di Galaad. Così la comunicazione è forte, quasi ipnotica e l’ancella diventa anche sconvolgente, ciascuno di noi può rendersene conto, perché in fondo…ci è molto vicina, “è dentro di noi”.
Raccontaci la genesi di questo spettacolo, così legato alle donne e all’universo femminile. Come nasce “The Handmaid’s Tale” a teatro?
Questo spettacolo è nato due anni fa per l’8 marzo 2018, quando Laura Palmieri mi ha proposto la lettura in diretta Rai Radio3 dell’adattamento radiofonico de Il Racconto dell’ancella a cura di Loredana Lipperini. Io non conoscevo ancora né il romanzo né la serie…e mi sono trovata tra le mani un gioiello. Ho capito subito che poteva funzionare così com’era anche in teatro, perché la voce dell’ancella era già corpo. Non c’è niente di più. Un lavoro sul personaggio, un lavoro interno, quasi invisibile che ho fatto con il regista, qualche azione scenica molto precisa, il corpo in atto che racconta. E un bellissimo lavoro musicale che accompagna tutto lo spettacolo e che ha fatto Riccardo Amorese. In teatro tutto ciò diventa appunto esperienza. Arrivano suggestioni sonore, visive, azioni, pensieri, parole e corpo. Essendo una scrittura tratta dal romanzo contiene tutto, gli spettatori fanno il resto, immaginano quello che non si vede, ma il corpo in scena è un monito, una testimonianza. Credo sia questo, oggi, il senso primario del teatro. Nella sua essenzialità, e nella sua forza.
“Il racconto dell’Ancella”: qual è stato l’approccio per portarlo dal romanzo alla scena?
Come ti dicevo il testo è rimasto quello del romanzo, la lingua è quella di un romanzo in prima persona ma pur sempre un romanzo. Volutamente non lo abbiamo cambiato, perché la distanza e la ricchezza della scrittura compongono la forma che ci permette di comunicare. Certo, con Graziano abbiamo lavorato molto per riuscire a domare la scrittura e non lasciarci trascinare dalla facilità della narrazione…è un po’ come remare contro un testo narrativo, per incarnare ogni parola, ogni momento. Anche il lavoro di memoria è stato importante e direi…doloroso! Perché è una scrittura densissima, che poi risulta molto naturale, ma non è naturalistica.
Qual è secondo te il segreto di questo strepitoso successo, del romanzo, della versione cinematografica di Schlöndorff e della pluripremiata serie tv?
È un romanzo che la Atwood ha scritto nell’85 ma che oggi risuona in modo incredibile. Io sono cresciuta in Tunisia e tante cose di cui parla l’Ancella le ho conosciute. E poi come donna e come attrice mi riconosco molto in questa “generazione di transizione” di cui parla Atwood…se non portiamo in giro questo racconto, se non ci ricordiamo da dove veniamo, “non avremo ricordi” e non ci renderemo conto di ciò che ci manca. Penso ai giovani, è uno spettacolo che arriva moltissimo ai giovani. Ma non solo. Nell’adattamento che ha curato Lipperini, l’Ancella fa un percorso a ritroso proprio in questo senso, nel recupero della memoria. È così facile dimenticare, accontentarsi, adattarsi, anche su piccole cose, lo facciamo costantemente, per vivere bene, per vivere meglio, è umano…eppure oggi alcune parole come “libertà”, “uguaglianza”, “parità”, arriverei fino a “democrazia”, sono ancora un po’ abusate. Io credo che ci voglia attenzione, e che ciascuno di noi abbia la sua piccola parte di responsabilità. Mi piace ricordare il racconto del pettirosso che porta la sua gocciolina di acqua nel becco, durante un incendio. Il leone gli dice “cosa credi di fare, tu, con la tua gocciolina, scappa…” e lui risponde “io faccio la mia parte”.
Esiste secondo te un parallelo fra la società moderna e la Repubblica di Galaad nel modo di vedere e considerare le donne?
Beh se ci guardiamo intorno, proprio rispetto agli eventi di questi ultimi giorni…ci accorgiamo che non parliamo di una realtà così “distopica”. È un attimo. Non credo che oggi in Italia le donne siano considerate come nella Repubblica di Galaad. Penso che ci siano però società molto vicine, la Atwood stessa ha detto che non ha inventato nulla, ha solo messo insieme cose successe in società diverse, ma la questione per me riguarda l’essere umano. Riguarda il nostro senso di responsabilità individuale e collettivo. Penso che oggi gli uomini dovrebbero essere femministi.
Qual è secondo te il messaggio che lo spettacolo teatrale intende inviare agli spettatori?
Questo: che la cultura è importante, la memoria è importante, e ognuno di noi deve imparare a conoscersi e a conoscere, e porre la sua attenzione in tutti i piccoli gesti quotidiani. Perché ognuno ha diritto di portare la sua gocciolina d’acqua nel becco, per spegnere l’incendio.
Tre motivi per andare a vedere “Il racconto dell’Ancella” a teatro.
Il teatro è un luogo in cui si sta insieme, e in cui un evento esterno risuona all’interno, ha detto Peter Brook pochi giorni fa. Il teatro non da risposte, pone domande. L’Ancella a teatro pone gli spettatori di fronte a un’esperienza che lascia il segno. Che riconosciamo. La riconosco io, tanto quanto gli spettatori che insieme a me partecipano ogni sera allo spettacolo. Quindi i 3 motivi sono:
– Perché ci riguarda.
– Perché siamo insieme, e insieme abbiamo meno paura.
– Perché ciascuno di noi ha bisogno di emozionarsi e sentirsi parte.
In occasione dell’8 marzo, per la festa della donna, alle 20.30 in diretta su Radio 3, sarai impegnata nella lettura de I testamenti, sequel de Il racconto dell’Ancella, adattamento di Lipperini, a cura di Laura Palmieri. Come affronti il sequel, state già pensando a un eventuale adattamento per il teatro?
Potrebbe essere…ne I Testamenti, sempre nell’adattamento bellissimo di Lipperini, arrivano altre due testimoni: Zia Lydia, e la piccola Agnes…anche loro ci riguardano. Ora le voci sono 3, e 3 è sempre un numero perfetto.
Viola Graziosi è attrice teatrale, cinematografica, televisiva: dove ti senti più a tuo agio?
Sono 3 modi diversi di comunicare ma il lavoro interno per me è lo stesso. Il teatro però è un’esperienza condivisa, nel qui ed ora, è un’esperienza che accomuna, e in questo periodo, proprio in questo dove la paura del contagio dilaga mi sembra che sia importante restare uniti, restare umani. Da soli siamo tutti molto più vulnerabili. E se chiuderanno i teatri cercheremo un modo per rimanere comunque connessi se non nello spazio, nel tempo: lo faremo in diretta streaming!